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Pizzul, cronista non narratore: quanto manca la tua voce in questo calcio
Mai sopra le righe, con un tono che oggi ci parrebbe monocorde, Pizzul apparteneva ai cronisti, che dicevano il nome dei giocatori e, al massimo, annotavano una prodezza o una papera. Un cronista, non un narratore, un critico o un tecnico. Il suo era un modo diverso di presentare e vivere il calcio: asciutto, essenziale, parco. Oggi impensabile, con un’azione fatta rivedere 3, 4 volte, la moviola in diretta, il Var e le analisi infinite in cui si appronta una specie di teatro col commento che prevale sulla realtà. D’altronde, trasmetteva solo la Rai, quasi sempre in differita, a risultato acquisito, offrendo uno solo dei due tempi. Tutto era diverso, più sobrio ed essenziale. Eppure c’era già chi anche allora lodava il tempo passato, quando le partite si vedevano solo allo stadio e passava la radiocronaca di una sola gara perché “Il calcio minuto per minuto” era di là da venire.
Il trapasso da radiocronaca a telecronaca avvenne con Nicolò Carosio, che, paradossalmente, benché più “arcaico” era assai più verboso e barocco di Pizzul e Martellini. Carosio veniva dalla radio; alla televisione, descriveva tutto quello che vedeva, sovrapponendo il racconto quasi continuo della voce a quello delle immagini. Celebri le sue notazioni fulminee per descrivere rapidamente un’azione articolata, come il “quasi goal”.
Come Carosio, Pizzul era laureato in giurisprudenza. Studiava e contemporaneamente giocava a calcio, anche con buoni esiti. Arrivò a ricoprire il ruolo di centrocampista nel Catania e nell’ Udinese. Era un “gigante buono” di quasi due metri.
Dopo l’ultima telecronaca si è visto in veste di commentatore, ma quello non era il suo ruolo: gli mancavano i fatti della cronaca e non si beava dei commenti chilometrici.
Domani, a Cormons, con lui, festeggeranno anche un altro calcio.