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Pisnoli, ex moglie di De Rossi: festa con Ilary Blasi e Mammuccari prima della condanna. Poi la lettera: 'Non ho ordinato di uccidere...'
Lo scrive La Repubblica, edizione di Roma. Quando Pisnoli è stata immortalata in casa della conduttrice televisiva insieme a una decina di amici, non mancavano neanche due settimane al verdetto con cui il magistrato ha inflitto una pena durissima a lei e ad altri due imputati, Francesco Camilletti e Francesco Milano, a scontare 7 anni e 2 mesi di carcere per tentata estorsione, rapina e lesioni.
Secondo il tribunale avrebbe trattato un suo “ ospite”, l’imprenditore Antonello Ieffi in maniera meno cordiale rispetto al trattamento ricevuto quella sera in casa Blasi. Lo avrebbe fatto massacrare per recuperare un presunto credito che, a suo dire, vantava nei confronti dell’uomo.
[…] Perché quella sera di due settimane fa, all’Eur, nella villa da 1.400 metri quadri finita al centro della querelle tra l’eterno capitano della Roma e la presentatrice, il clima è disteso. C’è la sorella di Ilary, Silvia, alcuni amici e anche i ragazzini. A intrattenere i commensali ci pensa Mammucari.
Come si leggge sempre su Repubblica, su Instagram è stato pubblicato un video in cui ipnotizza la padrona di casa, che cade in trance e al suo risveglio ride. «Sei stata ‘aspa?», chiede la Pisnoli riferendosi all’evidente aspetto disteso della donna. «Mi sento rilassata», risponde Ilary. È il mood della serata, la calma e il relax. La quiete prima della tempesta.
Intanto, dopo la condanna la Pisnoli ha scritto una lettera aperta al Corriere della Sera
Caro direttore, dei giorni scorsi il Tribunale di Roma mi ha considerato responsabile dei reati di rapina e tentata estorsione. Avrei ordinato la rapina di un orologio (materialmente preso da altre persone), dopo avere tentato, senza alcun successo, di farmi restituire dei soldi che avevo versato per un investimento, con interessi risarcitori illeciti.
È una sentenza severa, resa da un Tribunale che ho visto attento agli argomenti della mia difesa, ma che, secondo me, è profondamente sbagliata. Io, difatti, credo di essere innocente. E lo sosterrò con forza nel giudizio di appello. Mi sento di dirlo perché nessuno è colpevole prima di un giudizio definitivo e, peraltro, non è raro che una Corte di appello riformi una sentenza di condanna.
Oggi la mia speranza mi pare confortata dalle mille e variegate dichiarazioni che la parte civile del mio processo, quella che riceverà un risarcimento al termine dello stesso, ha inteso fare su numerosi mezzi di informazione. Solo ed esclusivamente con riferimento alla mia persona e senza alcun minimo accenno agli altri protagonisti della vicenda. Mi vengono difatti addebitati alcuni comportamenti («Fategli pulire il sangue, portatelo a fare il bonifico e poi ammazzatelo»; poi, «Lei dà l’ordine e quelli partono come mastini per picchiarmi»; ancora, «Senza battere ciglio ha ordinato di ammazzarmi»), di grandissima rilevanza, eppure mai, mai mai, neppure accennati nei numerosissimi interrogatori fatti dalla parte civile.
Interrogatori resi ai carabinieri, ai pm, in Tribunale. Dove costantemente, la stessa parte civile, seppure incalzata dalle domande, ha radicalmente escluso che io abbia mai dato ordini o solo incoraggiato gli autori dell’aggressione. Da cui, sia chiaro, ho immediatamente preso le distanze.
Ecco, la consolazione a tale feroce e menzognera descrizione dei fatti, è che anche tale ulteriore dimostrazione di contraddittorietà, delle dichiarazioni rese nel corso del dibattimento, sarà determinante a chiarire l’effettiva comprensione della vicenda. Considerando che anche il pm, che ha chiesto ed ottenuto la mia condanna, nel corso della requisitoria rilevava come nel mio caso la valutazione in ordine alla «attendibilità della persona offesa e la sua testimonianza» fosse un elemento centrale del processo.