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    Pippo Russo: Ranieri, ma quale fallito

    Pippo Russo: Ranieri, ma quale fallito

    Per raccontare questo momento glorioso di Claudio Ranieri bisogna prenderla un po’ alla lontana e partire da un riferimento apparentemente sconnesso. Si tratta di un’intervista rilasciata a France Football da René Girard, ex calciatore della nazionale francese e allenatore del Montpellier vincitore di un clamoroso scudetto nella stagione 2012-13. Dopo il biennio trascorso sulla panchina del Lille, Girard si è concesso una pausa. E in questa condizione sabbatica ha concesso una di quelle belle e lunghe interviste che aprono ogni fascicolo del settimanale calcistico francese, pubblicata nell’edizione del 29 luglio. Una chiacchierata in un contesto bucolico, piena di spunti interessanti, ma che a un certo punto è stata contrassegnata da una caduta di stile. È accaduto nel passaggio in cui si parlava del relativo appeal degli allenatori francesi all’estero. Girard non riusciva a darsi spiegazioni sul perché, pur con le eccezioni del caso (Wenger all’Arsenal, Garcia alla Roma, Montanier alla Real Sociedad nel biennio 2011-13), i tecnici suoi connazionali non ricevano molte chiamate da club stranieri. E per rappresentare le stranezze di un mercato delle panchine che a suo giudizio non tiene troppo in conto i giudizi di merito, ha ritenuto di fare un esempio in negativo: “Quando al Leicester hanno da prendere un allenatore, chi prendono? Claudio Ranieri. Ok, ha fatto delle buone cose col Chelsea, ma non ha più fatto nulla di rivoluzionario. Restano soltanto il nome e il fatto che ha una reputazione. (LEGGI QUI).

    La mancanza di tatto mostrata da Girard nei confronti di un collega è stata evidente nell’immediato. E a ciò, cinque mesi dopo quell’intervista, si aggiunge l’effetto-boomerang determinato dai risultati accumulati dal tecnico romano. Perché sarà anche vero che Ranieri non abbia “più fatto nulla di rivoluzionario” (ma poi, dove sta scritto che il compito di un allenatore sia per forza quello?), ma in compenso ha portato in testa alla classifica una squadra il cui obiettivo era la permanenza in Premier. Parlare di miracoli è sempre uno sproposito, ma certo questo è un caso in cui si può usare un aggettivo che nel linguaggio calcistico odierno è abusato: straordinario. Ranieri ha preso una squadra che nella scorsa stagione aveva tenuto per tre quarti di campionato un cammino da retrocessione sicura, salvo compiere uno scatto inatteso nell’ultimo quarto e arrivare a salvarsi persino comodamente, con 6 punti di margine sull’Hull City. Replicare un campionato da salvezza, magari senza i patemi vissuti fino a primavera, era quanto a Ranieri veniva chiesto. E invece egli ha già quasi accumulato in meno di un girone d’andata i punti collezionati dal Leicester durante l’intera stagione scorsa: 32 contro 41. Il club delle Midlands orientali è a un passo dalla quota salvezza, che è stata di 37 punti nelle stagioni 2011-12 e 2012-13, per poi scendere a 36 nelle ultime due. Se anche da qui in avanti la squadra da Ranieri dovesse essere riassorbita a metà classifica, rimarrebbe questa eccezionale cavalcata che l’ha portata a condurre un campionato di testa per quasi tutto il girone d’andata e a raggiungere l’obiettivo d’inizio stagione con mezzo campionato d’anticipo. Con tanti saluti a Girard e agli ulivi della sua mansion.

    E tuttavia, riconosciuto a Ranieri il merito per quanto di memorabile sta facendo a Leicester, bisogna anche sottolineare un altro aspetto di questa sua avventura che adesso i suoi laudatori si sforzano di nascondere. Quando la scorsa estate l’allenatore romano è stato ingaggiato dal club inglese sono stati in molti (laudatori di oggi compresi) a manifestare perplessità, sia pur senza toccare gli estremi di Girard. Perché pareva che la carriera da allenatore di Ranieri avesse imboccato la fase del declino. In questo senso il tecnico romano ha sempre avuto un cammino segnato da alti e bassi a volte clamorosi. Basta guardare alle esperienze più recenti: una salvezza conquistata a Parma in condizioni che parevano impossibili; poi il biennio juventino, con una buona prima stagione alla guida di una squadra neopromossa e una seconda da dimenticare (tuttora molti tifosi bianconeri mostrano, nell’udire la parola “Ranieri”, reazioni analoghe a quelle degli interisti quando sentono proferire “Mazzarri”); due stagioni romaniste che avrebbero potuto avere un culmine trionfale, se non fosse stato per lo scudetto perso in casa contro la Samp, con via libera all’Inter del Triplete; poi l’esperienza proprio all’Inter, pienamente negativa, con subentro e esonero in pochi mesi; l’esaltante biennio a Monaco, con promozione dalla B alla prima stagione, e poi da matricola il secondo posto con accesso diretto alla Champions, che però non gli valsero la conferma per la terza stagione nel club pesantemente mendesizzato; e infine l’avventura francamente disastrosa sulla panchina della nazionale greca.

    Quest’ultima esperienza pareva avere segnato definitivamente la sua carriera. E invece Claudio Ranieri ha saputo risollevarsi, andando oltre. In Inghilterra lo definiscono “the tinkerman”. Che è un termine dal significato non univoco, perché indica colui che interviene nelle situazioni e prova a rimediarle, un po’ rimettendole a posto e un po’ rabberciandole alla bell’e meglio. Un nomignolo che spesso lo faceva sorridere, ma che ultimamente durante alcune interviste è parso suscitargli fastidio. Vorrebbe essere etichettato in altro modo. Anche perché in questo caso, per una volta, Claudio Ranieri ha dovuto riaggiustare se stesso. E questo gli basta e avanza.
    @pippoevai

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