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Pippo Russo: ora tocca alla Roma, il giurassico costume del ritiro punitivo
Si scherza, ma mica tanto. E non perché la situazione della Roma solleciti riflessioni amene, quanto perché c’è da constatare con amarezza la persistenza di questo balzano costume di mandare in ritiro punitivo le squadre in crisi di gioco e di risultati. Il club giallorosso è soltanto l’ultimo in ordine di tempo, dato che nell’ultimo mese una misura analoga è stata presa da Napoli e Udinese. C’è andata vicina anche la Fiorentina dopo la scoppola casalinga di due settimane fa contro il Cagliari, e pare che la divergenza di vedute fra proprietà e tecnico (con Andrea Della Valle che voleva spedire da subito la squadra in clausura e Vincenzo Montella a opporsi) sia stato un passaggio probabilmente decisivo nel guastarsi dei rapporti fra le due parti. Ma i risultati di questa misura disciplinare? Più o meno nulli. Il Napoli ha avuto una scossa nell’immediato, ma poi è tornato a viaggiare sulle montagne russe alternando risultati d’alto livello con scivoloni imbarazzanti. Esattamente come aveva fatto fino al momento d’essere spedito in clausura. Quanto all’Udinese del mediocrizzatore Andrea Stramaccioni, grigia era e grigia è rimasta. Per riuscire a vederla giocare in modo decente bisogna ricorrere agli acidi, altro che ritiro.
Ma quali che siano circostanze e protagonisti, ciò che rimane immutato è il tic di usare il ritiro come un’arma punitiva. Un bel tuffo nell’éra paleozoica del calcio. I giocatori battono la fiacca in campo? E allora blindiamoli, possibilmente in un luogo isolato, così imparano a non dare tutto quello che hanno. Magari spediamoli in alberghi da una stella e senza frigobar in camera, come a suo tempo faceva Luciano Gaucci. Una soluzione (il ritiro, non l’hotel a una stella senza frigobar) che esiste dacché esiste il calcio, si dirà. Ma dacché esiste il calcio abbiamo visto passare tante cose, compresi i pali delle porte quadrati. E le più antiquate fra queste cose se ne sono andate senza alcun rimpianto. Invece la moda del ritiro punitivo sopravvive, a dispetto di ogni spinta verso la modernizzazione del calcio e dei suoi attori. Che sono sempre più patinati, sanno come piazzarsi in favore di telecamera e mostrano una straordinaria abilità nello sciorinare il banalogio da post-partita come canone unificato. Vi pare che gente come questa possa lasciarsi scalfire dall’idea del ritiro punitivo? Figurarsi. Per costoro il calcio di oggi è già un ritiro 24/7 senza clausura. Nessuna soluzione di continuità tra impegni agonistici e extra-agonistici, tra sport e comunicazione, tra pubblico e privato. Per di più, specie nei casi di squadre impegnate su più competizioni, si tratta di calciatori che trascorrono già in gruppo gran parte del loro tempo di vita. E forse è proprio quello il problema, e si chiama saturazione.
Tenerli ulteriormente in batteria, col solo intento di colpevolizzarli ulteriormente e far sentire loro il pugno di ferro della società, ha nel migliore dei casi un effetto nullo. Ma nel peggiore dei casi l’effetto è addirittura deleterio, poiché alza ulteriormente il livello della tensione e mette in evidenza una debolezza della società, incapace di richiamare ai calciatori ai propri doveri senza fare ricorso alle prove di forza. E chissà se non sia il caso di inventare il ritiro punitivo per i dirigenti. Tre-quattro giorni in ostelli della gioventù con cesso in comune, per mettere nelle condizioni di meditare sulle proprie castronerie tutti gli ad, ds, ceo, dg e altri acronimi di tal fatta. Quello sì che sarebbe un esperimento innovativo. Una bella terapia di gruppo con sedute in stile Alcolisti Anonimi. Pensate che possa funzionare?
Un’ultima annotazione. Il ritiro punitivo della Roma è stato voluto dal tecnico Rudi Garcia. Che del disastroso girone di ritorno romanista è il principale responsabile. Dunque proietta su altri (pur colpevoli della situazione) un’insoddisfazione e una rabbia che dovrebbe usare innanzitutto verso se stesso. Perché sarà anche vero che a un certo punto la chiesa sia stata riportata al centro del villaggio. Però da un po’ di tempo a questa parte il pastore ne è rimasto fuori, e non sa più come rientrarci. E a quel punto non può mica soltanto recriminare se il suo gregge si dà ai baccanali? Nessuna situazione critica può essere risolta senza passare dall’autocritica.
@pippoervai