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    Pippo Inzaghi e la laguna dorata

    Pippo Inzaghi e la laguna dorata

    • Marco Bernardini
    “Tre fili fan ‘no spago”. Cioè, l’unione fa la forza. E allora “benedeto fiol, ze ora de andar fora de levada”. Insomma, ragazzi, si può anche impazzire per la gioia. Chiedo scusa a Carlo Goldoni se ho preso a prestito un paio di modi dire classici per le sue commedie veneziane. Li ho trovati assai pertinenti con il momento storico di una città la cui griffe è ammirata dalla Patagonia alla…Patagonia dopo aver fatto il giro del mondo e che calcisticamente si appresta a rivivere un momento di nuovo rinascimento dopo un periodo troppo lungo costellato da tribolazioni i inganni assortiti. Occorre andare indietro di settantacinque anni per scoprire che, prima della guerra, in laguna esisteva un calcio che contava. Le stagioni in cui due giganti del pallone, Mazzola e Loik, si erano caricati sulle spalle la squadra “neroverde” per farne un vanto sportivo dell’Italia. Ferruccio Novo, il presidente del Grande Torino, non badò a spese e li ingaggiò entrambi. Un milione di lire tondo alla società veneta. Cose mai viste prima.

    Fino a ieri i “fili” goldoniani erano soltanto due. Mancava il terzo per annunciare che, da adesso in avanti, ci sarà la forza dell’unione per fare sul serio. Al presidente Joe Tacopina e al direttore Enrico Perinetti si è associato, nelle vesti di allenatore, Filippo Inzaghi. Da questa “troika” curiosamente assortita dovrebbe partire il lungo viaggio del Venezia Calcio verso la Serie A. In tutta sincerità e con enorme soddisfazione mi piace leggere questo evento come risposta italo-americana all’invasione cinese iniziatasi con l’occupazione interista. Tacopina di sicuro non è minimamente paragonabile, in quanto a potere economico, al nuovo “mandarino” di Nanchino. Lui fa l’avvocato a New York e, per alte che possano essere le sue parcelle, possiede una disponibilità finanziaria risibile rispetto a quella di Suning. “Joe l’italiano” come lo chiamano ancora a Brooklin dove è nato e cresciuto possiede però un dono prezioso per vocazione naturale. Quello della fantasia e del sogno che, secondo lui, può essere applicata alla realtà quotidiana. Un visionario, certamente, ma non un fesso o parolaio venditore di bufale. Aveva già tentato un paio di volte di applicare le sue teorie manageriali al mondo del calcio. Prima a Roma, la città di suo padre nato a Monte Mario da dove si vede lo stadio Olimpico e poi a Bologna. Non era cosa. Forse non era tempo. A Venezia sì. Lo sta promettendo alla gente della laguna che, tempo i due anni canonici necessari per la scalata, il Venezia sarà in Serie A pronto a sfidare e a competere con le storiche grandi e con le nuove realtà cinesi. Un poco come fece il Parma, insomma.

    Il popolo veneziano ci crede e prende per buone le parole di Joe. Ci conta più di ogni altro Pippo Inzaghi un ragazzo persino d’altri tempi per il cuore che possiede e per la genuinità del suo pensiero il quale, dopo la delusione in casa Milan, non esita ad affermare che: “La Lega Pro, quest’anno, sarà la mia Serie A. Il Venezia sarà la squadra rivelazione per i prossimi anni”. Un impegno mica da ridere eppure preso con leggerezza che non vuole dire superficialità ma soltanto la capacità di non confondere le rave con le fave e di dare a ciascuna cosa il valore che merita. Per Inzaghi il calcio sarà sempre e soltanto un gioco da gestire con serietà professionale, ma mai una guerra. Ed è anche così che si ottengono risultati.

    Certo è che il Venezia non è una squadra come tutte le altre perché Venezia non è una città come tutte le altre. Negli Stati Uniti ne esistono almeno cinque che portano il suo nome inglesizzato in “Venice”. I giapponesi e gli emiri hanno voluto ricostruirla in scala nei parchi o sul limitare del deserto. I cinesi hanno la figura di Marco Polo ben stampata in testa. L’idea “Don Giovanni” implacabile seduttore è di dominio planetario. Insieme con un Festival del Cinema un poco invecchiato ma sempre cult, la maschera di Arlecchino, il Carnevale più famoso dopo quello di Rio, la suggestione delle gondole  e lo spettacolo unico dell’acqua alta in piazza San Marco. Ora dovrebbe toccare al calcio rafforzare la “griffe” di una tra le città più suggestive al mondo. E sarebbe anche ora. Naturalmente con l’impegno a sostegno di quell’amministrazione locale che ignorò, a suo tempo, il progetto presentato da Zamparini, il quale aveva visto lontano prima ancora di “Joe il temerario”. Prandelli e Recoba avrebbero dovuto fare da apripista per un rinascimento che non ci fu anche perché non è possibile fare calcio in uno stadio attiguo al canale dove ogni tanto il pallone va a finire. Ora siamo alla svolta. Con tanti saluti ad Aznavour quando canta com’è triste Venezia.
     

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