Il rito, andato avanti per quindici anni, era questo. La vigilia di Natale, a mezzanotte, lui entrava nella chiesa della Gran Madre a Torino. Lo aspettavo fuori. Non per sgarbo e per disattenzione verso la fede, ma perché la celebrazione della Messa mi riportava ai tempi della personale “mala education” subita ai tempi del ginnasio da certi “cattivi maestri” salesiani i quali, contrariamente alla regola voluta dal loro padre fondatore Giovanni Bosco, sembravano impegnarsi al massimo per rendere la religione e la preghiera una sorta di gabbia persecutoria piuttosto che la strada maestra per poter raggiungere il Misericordioso. Non volevo farmi sangue cattivo proprio quella notte magica. Preferivo, dunque, sostare sulle scale di quel bellissimo e misterioso tempio riflettendo in beata solitudine aspettando che lui tornasse dopo aver recitato un “Avemaria” anche per me. Poi si andava a piedi verso casa mia che non era lontana. Lui, principe senza corona e senza scorta. Io, affabulatore senza platea. Due amici nella notte. La notte di Natale. LEGGI L'ARTICOLO COMPLETO SU ILBIANCONERO.COM