Pessina ama il latino. Il prof del liceo a CM: 'Passione e talento anche nelle versioni, quella sorpresa...'
Il primo, alle 9 in punto. L'indicazione per l'esame orale della maturità di Matteo Pessina era molto chiara: sbrigare l'interrogazione nelle prime ore della giornata per poi volare all'Europeo Under-19. Un binomio, quello tra calcio e studio, che ha caratterizzato larga parte della vita del Pess. Il merito è anche (o forse soprattutto) di Stefano Motta, ex professore di italiano e latino durante il terzo e quarto anno al Liceo Scientifico Villoresi di Monza. "Lo chiamo ancora prof, nonostante il nostro rapporto" ha spiegato Matteo, ennesimo simbolo dell'Italia bella, giovane e pulita che entusiasma il paese e vola agli ottavi a punteggio pieno. "Sembra un film: l'insegnante a cui non frega assolutamente niente di calcio e l'alunno calciatore. Nacque un'amicizia che quasi uscivamo insieme. Aveva subito colto il mio modo d'essere".
L'INCONTRO - Raggiungiamo il prof. Motta telefonicamente, pochi istanti dopo il gol-vittoria di Pessina con cui la Nazionale di Mancini ha piegato il Galles. Felicità e orgoglio si uniscono ai ricordi e a qualche battuta: "Ho visto la partita in diretta" racconta in esclusiva a calciomercato.com. "Non sono un grande appassionato di calcio, ma mi ero programmato l'alert sul pc. Continuavo a chiedere silenzio in casa, come se il nostro parlare potesse disturbarlo in campo. Ho vissuto molto la partita e al gol...beh al gol tantissime emozioni". Serve, però, riavvolgere il nastro e ripercorrere interamente il dna di questo rapporto così speciale: "Matteo cercava una realtà seria ma che - pur senza sconti - andasse incontro ai suoi impegni sportivi. Era al primo anno al Villoresi, come me del resto. Eravamo i due nuovi in una classe già formata, ci siamo annusati subito. Era molto intuitivo, concentrato, appassionato. Sapeva di avere poco tempo da dedicare agli studi, sfruttava il tempo in classe senza distrarsi. Ci teneva a prendere bene gli appunti così da ridurre il lavoro a casa. E quando vedi uno che continua ad annuire, sembra che inizi a parlare solo per lui".
IL LATINO E LA SORPRESA - Roba strana, il latino. Merce rara - ed è naturale - tra i ragazzi d'oggi. Combinazione pressoché impossibile con un calciatore. Ma ogni regola ha un'eccezione e quella che riporta a Cesare e Seneca ha nome e cognome di Matteo Pessina. Che il latino, oltre a studiarlo, l'ha amato davvero. Non lo ha mai nascosto nelle interviste, lo conferma oggi l'ex prof: "Aveva grande talento speculativo, metafisico. Per tradurre in latino devi avere tante abilità, è come giocare a calcio: ci sono la tecnica, la tattica e un pizzico di improvvisazione. Matteo ha sempre avuto una sensibilità delicata, atipica nel cliché machista del calciatore". Sensibilità legata a riconoscenza: "Due o tre anni fa mi ha fatto una visita inaspettata. Ero preside in un altro istituto, alle scuole media. Ero in studio, mi ha chiamato la segretaria dicendomi: 'Professore, c'è qui un giocatore di Serie A che dice di volerla salutare'. Io non conoscevo giocatori di Serie A, quando lei mi ha detto: "Si chiama Matteo Pessina" sono saltato sulla sedia. Più volte mi ha detto che sarebbe passato a trovarmi, ma sai, sono convenevoli. Giocava nell'Atalanta, ormai era arrivato. Sono sceso subito, emozionatissimo e felice. Lui era già lui, allora ho fatto suonare la campanella come se fosse l'antiincendio. Tutti i ragazzi sono scesi, pensando si dovesse evacuare la scuola. E i ragazzini lo conoscevano tutti grazie all'album delle figurine. Io pensavo di doverlo introdurre: per me rimane il mio alunno, non riuscivo a percepirlo come una persona famosa. Dava consigli, invitava i ragazzi a studiare. Ma era credibile".
IL TALENTO DIVENTATO CAMPIONE - Allenamenti e verifiche, interrogazioni e partite. Il ritmo di vita di Matteo prosegue così, non senza sudore ma non la consapevolezza di avere qualcuno che lo sostiene. Merito dell'istituto Villoresi, lo stesso che ha allevato il velocista Filippo Tortu: "Ha dato la possibilità a questi ragazzi di coltivare i loro talenti senza che lo studio fosse un incubo. Ora che lo vedo sbocciare ho la sensazione di aver partecipato, in piccolo modo, a questa cosa. Come quando succede qualcosa e dopo anni ne realizzi l'importanza. Ieri, con i colleghi con cui è rimasto un contatto, ci siamo fatti i complimenti come se avessimo segnato noi il gol. Ma semplicemente perché i professori sono partecipi e felici dei successi dei loro alunni. Su 10 talenti, uno diventa campione e 9 restano promesse. Il campione è colui che è allenabile, colui che ascolta, si fida, ha voglia di imparare. Io non so se Matteo fosse portato per il latino, ma era disposto a imparare. Questa cosa gli ha permesso di ottenere risultati sicuri a scuola e di diventare ciò che è diventato. Ha avuto voglia di imparare e si è lasciato guidare. Senza mai tirarsela: se anche la domenica era in trasferta, il lunedì si presentava per l'interrogazione, senza spocchia. A 19 anni probabilmente prendeva il triplo del mio stipendio da insegnante, ma non veniva in classe con il Rolex. Magari ce l'aveva, ma non lo ostentava". Locatelli prima, Pessina poi: sono i volti freschi, cresciuti in provincia, che oggi illuminano l'Italia. Il presunto Rolex indica ora le 21 di sabato 26 giugno. A Wembley scendiamo in campo per gli ottavi: con l'augurio che, come studiava il Pess, labor omnia vincit.
L'INCONTRO - Raggiungiamo il prof. Motta telefonicamente, pochi istanti dopo il gol-vittoria di Pessina con cui la Nazionale di Mancini ha piegato il Galles. Felicità e orgoglio si uniscono ai ricordi e a qualche battuta: "Ho visto la partita in diretta" racconta in esclusiva a calciomercato.com. "Non sono un grande appassionato di calcio, ma mi ero programmato l'alert sul pc. Continuavo a chiedere silenzio in casa, come se il nostro parlare potesse disturbarlo in campo. Ho vissuto molto la partita e al gol...beh al gol tantissime emozioni". Serve, però, riavvolgere il nastro e ripercorrere interamente il dna di questo rapporto così speciale: "Matteo cercava una realtà seria ma che - pur senza sconti - andasse incontro ai suoi impegni sportivi. Era al primo anno al Villoresi, come me del resto. Eravamo i due nuovi in una classe già formata, ci siamo annusati subito. Era molto intuitivo, concentrato, appassionato. Sapeva di avere poco tempo da dedicare agli studi, sfruttava il tempo in classe senza distrarsi. Ci teneva a prendere bene gli appunti così da ridurre il lavoro a casa. E quando vedi uno che continua ad annuire, sembra che inizi a parlare solo per lui".
IL LATINO E LA SORPRESA - Roba strana, il latino. Merce rara - ed è naturale - tra i ragazzi d'oggi. Combinazione pressoché impossibile con un calciatore. Ma ogni regola ha un'eccezione e quella che riporta a Cesare e Seneca ha nome e cognome di Matteo Pessina. Che il latino, oltre a studiarlo, l'ha amato davvero. Non lo ha mai nascosto nelle interviste, lo conferma oggi l'ex prof: "Aveva grande talento speculativo, metafisico. Per tradurre in latino devi avere tante abilità, è come giocare a calcio: ci sono la tecnica, la tattica e un pizzico di improvvisazione. Matteo ha sempre avuto una sensibilità delicata, atipica nel cliché machista del calciatore". Sensibilità legata a riconoscenza: "Due o tre anni fa mi ha fatto una visita inaspettata. Ero preside in un altro istituto, alle scuole media. Ero in studio, mi ha chiamato la segretaria dicendomi: 'Professore, c'è qui un giocatore di Serie A che dice di volerla salutare'. Io non conoscevo giocatori di Serie A, quando lei mi ha detto: "Si chiama Matteo Pessina" sono saltato sulla sedia. Più volte mi ha detto che sarebbe passato a trovarmi, ma sai, sono convenevoli. Giocava nell'Atalanta, ormai era arrivato. Sono sceso subito, emozionatissimo e felice. Lui era già lui, allora ho fatto suonare la campanella come se fosse l'antiincendio. Tutti i ragazzi sono scesi, pensando si dovesse evacuare la scuola. E i ragazzini lo conoscevano tutti grazie all'album delle figurine. Io pensavo di doverlo introdurre: per me rimane il mio alunno, non riuscivo a percepirlo come una persona famosa. Dava consigli, invitava i ragazzi a studiare. Ma era credibile".
IL TALENTO DIVENTATO CAMPIONE - Allenamenti e verifiche, interrogazioni e partite. Il ritmo di vita di Matteo prosegue così, non senza sudore ma non la consapevolezza di avere qualcuno che lo sostiene. Merito dell'istituto Villoresi, lo stesso che ha allevato il velocista Filippo Tortu: "Ha dato la possibilità a questi ragazzi di coltivare i loro talenti senza che lo studio fosse un incubo. Ora che lo vedo sbocciare ho la sensazione di aver partecipato, in piccolo modo, a questa cosa. Come quando succede qualcosa e dopo anni ne realizzi l'importanza. Ieri, con i colleghi con cui è rimasto un contatto, ci siamo fatti i complimenti come se avessimo segnato noi il gol. Ma semplicemente perché i professori sono partecipi e felici dei successi dei loro alunni. Su 10 talenti, uno diventa campione e 9 restano promesse. Il campione è colui che è allenabile, colui che ascolta, si fida, ha voglia di imparare. Io non so se Matteo fosse portato per il latino, ma era disposto a imparare. Questa cosa gli ha permesso di ottenere risultati sicuri a scuola e di diventare ciò che è diventato. Ha avuto voglia di imparare e si è lasciato guidare. Senza mai tirarsela: se anche la domenica era in trasferta, il lunedì si presentava per l'interrogazione, senza spocchia. A 19 anni probabilmente prendeva il triplo del mio stipendio da insegnante, ma non veniva in classe con il Rolex. Magari ce l'aveva, ma non lo ostentava". Locatelli prima, Pessina poi: sono i volti freschi, cresciuti in provincia, che oggi illuminano l'Italia. Il presunto Rolex indica ora le 21 di sabato 26 giugno. A Wembley scendiamo in campo per gli ottavi: con l'augurio che, come studiava il Pess, labor omnia vincit.