Perotti a CM: "Non dimenticherò mai quella chiamata di Maradona"
Scrive. Cancella. Riscrive. Ci pensa, riflette. Diego Perotti è con uno smartphone tra le mani e nella testa ripercorre tutti i momenti più significativi della sua carriera. E' arrivato il giorno di ritirarsi, ma la cosa difficile è dirlo a tutti. E' il 12 settembre 2024, a 36 anni lascia il calcio e lo annuncia con una lunga lettera sui suoi profili social: "Dopo tanti anni di carriera è stato duro non riuscire a farlo in campo - racconta in esclusiva Perotti nella nostra intervista - l'ultimo club nel quale ho giocato è stata la Salernitana, ma purtroppo erano già due anni che non scendevo in campo".
Da quanto ci stavi pensando?
"Nelle ultime sessioni di mercato pensavo spesso che se non avessi trovato nulla avrei smesso, così alla fine ho preso questa decisione".
Stefano Sorrentino di te ha detto: 'L'unico ad avermi disarmato sui rigori è Diego Perotti. Non guarda la palla ma i tuoi occhi. Decide all'ultimo. Al primo che gliene para uno bisogna fare un monumento'. Qual era il tuo segreto dal dischetto?
"Aspettavo fino all'ultimo la mossa del portiere, sperando in un piccolo movimento da una parte o dall'altra per poi calciare nella direzione opposta; tanto loro prima o poi si devono buttare. Ma un paio me ne hanno parati...".
Chi è stato il primo?
"Cragno in un Roma-Cagliari: inizialmente prendevo la rincorsa camminando, da quando lui me l'ha parato ho iniziato a correre. L'altro rigore sbagliato mi pare fosse con Vicario quando era all'Empoli. In tutto ne ho falliti tre, perché ne ho calciato anche uno sul palo con l'Udinese: quel giorno avevo 10 punti di sutura sulla gamba".
Qual è stato il penalty più difficile?
"Il primo, perché se sbagli calciando in quel modo non ti puoi più presentare sul dischetto".
Avevi qualche modello al quale ti sei ispirato? "In realtà no, ho iniziato a calciare così su consiglio dei portieri con i quali giocavo. Poi mi hanno fatto vedere che era uno stile simile a quello di Mendieta".
Quanto ti allenavi in settimana sui penalty?
"Ne provavo tantissimi, soprattutto pochi giorni prima della partita. Ne tiravo almeno una quarantina a settimana".
Dove saresti arrivato senza gli infortuni?
"Me lo chiedo spesso anche io, ma non si potrà mai sapere. Magari con più continuità e un fisico più permissivo non avrei avuto quella fame di recuperare dopo ogni ko. Di infortuni gravi ce n'è stato uno solo, ma sono contento di come mi sono rialzato tante volte recuperando da noiosi problemi fisici. Quello che posso dire è che ho sempre dato tutto, mi sono anche allenato da solo andando tutti i giorni dal fisioterapista".
A causa dei problemi fisici avevi pensato di ritirarti a 25 anni.
"Sì, non ce la facevo più. Dopo un periodo negativo a Siviglia sono tornato in Argentina (al Boca Juniors, ndr) ma quando ho visto che neanche lì ha funzionato ci ho pensato davvero. Io facevo di tutto per cercare di stare bene, ma sono arrivato a un momento che non sapevo più cosa mangiare, quanto dormire...".
Al Siviglia alti e bassi e una mezza rissa con un tifoso dopo una partita con l’Espanyol: cos’era successo?
"Io ho sempre avuto lo stesso numero di telefono, Siviglia è una città molto piccola e i numeri di alcuni giocatori, tra i quali il mio, hanno iniziato a girare. Un giorno mi è arrivato un messaggio di un tifoso che mi insulta; e io rispondo a tono. Dopo una partita contro l'Espanyol vado al parcheggio a riprendere la macchina, mi si palesa un tifoso dicendomi che era stato lui a scrivermi. Io non ci ho più visto ed è partito qualche pugno qua e là".
E' vero che tuo padre Hugo, ex compagno di Maradona al Boca, ti ha chiamato così in suo onore?
"No, sfatiamo questo mito. E' un nome che aveva già deciso mia madre".
Il debutto con l'Argentina arriva in amichevole contro la Spagna: Maradona ct, te entri al posto di Messi.
"E' stato un esordio inaspettato perché ero arrivato a Siviglia da un anno e mezzo/due. E' stato pazzesco entrare in camera d'hotel e trovarmi davanti Demichelis; ma non solo lui, era una nazionale con Higuain, Aguero, Aimar, Cambiasso, Lavezzi, Maxi Rodriguez... Tutti giocatori che guardavo in tv da bambino, e oltre a loro il ct era Maradona. Quando mi ha fatto entrare al posto di Messi mi sembrava una favola, anche se me la sono goduta poco perché le cose nel calcio passano troppo in fretta. Bisognerebbe fermarsi a pensare a quello che succede di bello".
Ci racconti un aneddoto con Maradona?
"Avevo 21 anni, giocavo nel Siviglia e mi ero iscritto all'università. Un giorno ero in classe, mi squilla il telefono ed era un numero sconosciuto ai quali di solito non rispondo; quella volta l'ho fatto, era il team manager dell'Under 20: mi ha detto di tenere il telefono sott'occhio che Maradona mi stava per convocare. Sono uscito di corsa dalla classe e mi sono seduto da solo nel giardino dell'università. Poi il telefono squilla di nuovo, era lui: "Ragazzo, vieni con la voglia eh", e ha riattaccato. Neanche ho fatto in tempo a ringraziarlo...".
Che ricordi hai dell’arrivo in Italia al Genoa?
"All'inizio avevo qualche dubbio perché il calcio italiano era molto fisico e io non ero nelle condizioni adatte; inoltre non parlavo la lingua e non conoscevo la mentalità di Gasperini, l'avessi saputo prima forse non avrei accettato. Col lui o ti allenavi o ti allenavi. E posso dire che grazie al suo lavoro non ho più avuto infortuni frequenti, mi sono sbloccato anche mentalmente: ho fatto dieci allenamenti al massimo, vedendo che non mi facevo male ho acquistato ancora più fiducia in me stesso togliendomi tutte le paure di dosso. Forse era quello di cui avevo bisogno".
E' il miglior allenatore che hai avuto?
"Credo proprio di sì. Sul podio metto anche Spalletti ed Emery, ma Gasp è al primo posto".
Derby di Genova o derby di Roma?
"Il derby è derby, non si può scegliere. Quello di Roma è storico e lo seguivo già quando ero in Argentina; quello di Genova si gioca in una città più piccola, è un contesto simile a Siviglia-Betis".
Possiamo dire che con quel tuo gol contro il Genoa nel 2017 hai salvato la festa d’addio di Totti? La Roma che vince 3-2 e arriva seconda.
"Beh, direi di sì. Già era una giornata amara che nessun romanista avrebbe voluto vivere, in più se dopo una stagione pazzesca e un'ottantina di punti non fossimo arrivati neanche secondi sarebbe stata una grande beffa. Giocavamo in un Olimpico pienissimo, era una partita che avremmo dovuto vincere facilmente inveve si è complicata: per fortuna al 90' ho segnato; non mi ricordavo neanche di giocare contro il Genoa, altrimenti non avrei esultato in quel modo".
Ci racconti un aneddoto con Totti?
"Vi posso dire che mio figlio si vede e rivede più volte l'addio al calcio di Totti. E' stata una giornata storica, è stato un mix di emozioni: ero contento perché ero lì a vivere quel momento da brividi, ma consapevole che non l'avrei più rivisto nello spogliatoio".
Com'è stato giocare con lui?
"Condividere momenti con questi campioni è bellissimo, è meno bello avere la consapevolezza che tu, a quei livelli, non ci arriverai mai. Un conto è vederli in tv, un conto in allenamento tutti i giorni: Totti calciava dieci volte in porta e tutte e dieci il pallone finiva sotto l'incrocio, faceva lo scavetto al portiere nella porticina di mezzo metro... Io ho giocato a calcio da quando avevo 7/8 anni come lui, mi allenavo tutti i giorni come lui, ma non ce n'era: questi calciatori sono diversi, hanno qualcosa di speciale".
Sei rimasto molto amico con De Rossi, come sta?
"Lo sento spesso. Sicuramente ha vissuto una situazione negativa, non solo come persona ma anche da simbolo della Roma. Uno come lui, o come Totti, che hanno fatto la storia, dovrebbero essere ancora nel club. Con i risultati è stato sfortunato, ma forse non gli hanno dato il tempo del quale aveva bisogno; nel calcio, però, di tempo non ce n'è".
Ranieri è la persona giusta per risollevare la Roma?
"Sì, perché conosce la piazza, i tifosi lo adorano e ha l'esperienza per gestire questa situazione dopo aver risolto problemi peggiori in altre squadre. La rosa è molto forte, non penso che avranno grandi difficoltà a tirarsi su".
Ci racconti un aneddoto di quando avete lavorato insieme?
"Mi è sempre piaciuta la sua concretezza: se doveva dirci una cosa non perdeva tempo con lunghi video come capitava spesso con altri allenatori, lui andava subito al punto; è uno pratico, per me era una novità. Se dai duecento indicazioni a un giocatore, alla quinta si è già scordato tutto; lui invece sapeva come farsi capire".
Chivu ha raccontato che per superare i fischi dell’Olimpico ha chiesto aiuto a uno psicologo, a te è mai capitata una situazione simile?
"Nell'ultimo periodo a Siviglia altro che fischi... Venivo insultato tutti i giorni ma non ho sofferto particolarmente, me li facevo scivolare addosso".
Cosa fai dopo il ritiro dal calcio?
"Non ho il patentino da procuratore, ma sto lavorando insieme ai miei soci Gian Luca Comandini e Diego Tavano (agente, tra gli altri, di Bove, ndr): a convincermi è stata la loro serietà e propensione al lavoro con i ragazzi".
Tornando indietro c’è qualcosa che non rifaresti?
"No, non mi pento di nulla. Mi sarebbe solo piaciuto vivermi alcuni momenti con più calma, leggerezza e senza ansia. Prima di partite importanti ci sono state nottate passate in bianco perché non riuscivo a dormire".
@francGuerrieri