Pernambuco: Morata andava tolto subito dopo il gol
Ieri sera al 9° minuto del primo tempo di Juventus-Real Madrid, Alvaro (con l’accento sulla prima A) Morata l’ha messa dentro. E lo stadio è diventato un unico boato, espressione di quel particolare corpo mistico collettivo che si sprigiona ad ogni gol. E’ un’energia che se si potesse sintetizzare e convogliare in qualche strumento, sarebbe capace di spaccare le montagne o illuminare un intera città o risollevare dalla tristezza villaggi e città depresse. E’, in una frazione di secondo, una specie di apoteosi orgasmica, un lampo che riassume in se’ l’essenza del calcio.
Eppure Alvaro (con l’accento sulla A) è stato capace di offuscare quel lampo. Non ha esultato. Anzi dopo il gol ha esibito la faccia triste d’un bambino costretto a portare in fondo il suo compito contro voglia, d’un impiegato condannato a concludere una pratica ingiusta e dolorosa. I tifosi della Juve se ne sono sicuramente accorti e se fossi in loro me la legherei al dito. E se fossi Allegri lo avrei sostituito immediatamente per fargli capire almeno due cose: a) che se ha segnato almeno metà del merito è della squadra (per non dire, nel caso in particolare, di Tevez) e la squadra si onora festeggiando coi compagni, non subendo imbronciato i loro abbracci; b) che gioca nella Juve, non nel Real Madrid e che non si tengono due piedi in una staffa, non si gioca contemporaneamente per due squadre: o di qua o di là.
Ci vorrebbe un gesto esemplare per interrompere questa voga comune ormai a molti giocatori, che scambia un fair play penoso per riconoscenza. Per assurdo un giocatore che nella sua carriera cambia spesso maglia non dovrebbe mai esultare. Morata ha cominciato con l’Atletico Madrid, quindi contro i Colchoneros nessuna esultanza, poi ha continuato col Real e siamo da capo, giocasse contro la Juve non può esultare. Pensate a Zlatan Ibrahimovic cui dovrebbero essere preclusi goal veri, gol di gioia, contro il Malmo, l'Aiax, la Juve, l'Inter, il Milan, il Barcellona, il Psg: meglio che da ora in poi stia fermo. Gli resta il Rennes e poco altro per esaltarsi.
Sì, un fair play penoso frutto di un malinteso senso di riparazione e assolutamente incongruo. Riparazione verso chi e verso cosa? Se ti senti una bandiera, la tua squadra non la molli o se no la squadra in cui giochi è l’unica. Altrimenti la riconoscenza verso il passato diventa oltraggio verso il presente. No, non è sportività. E’ una specie d’ipocrisia sentimentalistica offensiva verso la maglia che indossi, verso i compagni e verso chi ti ammira. Qualche malizioso pensa che in questo modo qualche giocatore voglia ingraziarsi i futuri tifosi, ma sarebbe ancor peggio: un calcolo meschino segno di congenita infedeltà e di un patto psicologicamente indecente.
E allora perché chi la mette dentro così di malavoglia, subito dopo non dovrebbe andar fuori? Non foss’ altro per alleviargli l’immane sofferenza di aver fatto gol.
P.S. C’erano un sacco di commentatori e giornalisti a intervistare Morata in diretta TV. Una domandina facile sulla sua tristezza dopo il gol potevano fargliela, no?Fernando Pernambuco