Perché Checco Zalone trionfa (meritatamente)
Al suo posto cominceremmo a preoccuparci di un successo così unanime. Perché con l'ultimo film, Tolo Tolo, Luca Pasquale Medici alias Checco Zalone ha piegato anche gli ultimi scettici. Adesso anche coloro che snobbavano i suoi primi lungometraggi spendono parole entusiaste. E parlando del film appena uscito, ma già campione d'incassi, usano aggettivi a dismisura come “geniale” o “bellissimo”. Ma lo è davvero? Per il nostro gusto personale, assolutamente sì. Ma c'è anche qualcosa di più. Perché al nuovo film di Zalone si può accostare un aggettivo che mai si sarebbe immaginato: “complesso”.
Sì, proprio un film pieno di messaggi, di livelli di lettura, di sberleffi e controsberleffi che sembrano fatti apposta per tirare una pernacchia a chiunque pensi annettersi intellettualmente (sì, proprio intellettualmente) il comico pugliese. Che per lungo tempo è stato etichettato come un comico di destra, a causa di uno humour frettolosamente etichettato come ruvido tendente al grossolano. Ma che con questa nuova prova cinematografica smonta il discorso politico-ideologico della destra sull'immigrazione. Senza mai prendere una posizione di campo definitiva. E mica per paraculismo. È che proprio gli piace essere un irregolare. E dire quelle battute grevi che altri non potrebbero più permettersi ma a lui vengono perdonate perché sa come confezionarle. Uno spirito libero, che la libertà ha saputo conquistarsela sul campo. Con Tolo Tolo, questo spirito libero compie ciò che altri non avevano mai osato: il film di cassetta ma impegnato, il lungometraggio che va nelle sale durante i giorni del cinepanettone (e ci mette anche la medesima comicità spesso greve) ma intanto piazza spunti di riflessione che costringono a prenderlo sul serio.
E così Checco Zalone li colpisce tutti, a turno e senza risparmio. Sbeffeggia il politicamente corretto ma castiga anche un politicamente scorretto che ormai sta diventando di maniera esattamente come la controparte. Salta da destra a sinistra per sbeffeggiare entrambe le parti. E per rimanere alla stretta attualità, dedica lo sberleffo tanto al reddito di cittadinanza quanto alla flat tax. Lo fa nel corso di una storia da migrante economico che fa il percorso inverso: scappa dall'Italia lasciandosi alle spalle una montagna di debiti e si rifugia in Africa. E lì conosce la realtà che da quest'altra parte del Mediterraneo stentiamo a percepire: la fame, le guerre, il terrorismo islamico che colpisce innanzitutto le popolazioni locali, le bande di mercenari che rapiscono gli occidentali per monetizzare il riscatto, e infine il viaggio sul barcone che proprio non vorrebbe affrontare perché il ritorno in Italia è per lui una iattura. E il tutto avviene sempre lungo il confine indistinguibile fra gli interrogativi alti e la battuta grassa. Il contrasto che è la cifra dell'intero film e ormai della comicità di Zalone.
Tolo Tolo è pieno di passaggi esilaranti (fra gli altri, “Il fascismo è come la candida” strappa la risata a crepapelle), che col tempo diventeranno certamente frammenti di culto. Scegliamo di citarne due su tutti. Il primo riguarda la telefonata con Nichi Vendola, che vede l'ex governatore della Puglia lanciarsi in uno di quei suoi monologhi incomprensibili. Il secondo si ha quando, sul barcone, i migranti prendono a chiedergli cosa debbano aspettarsi dall'Italia. E lui pronuncia una sequenza che è la prima parte, leggermente modificata, della famosa frase di John Fitzgerald Kennedy: “Non chiedetemi cosa il mio Paese può fare per voi...”. E quando uno dei migranti lo invita a completarla chiedendo “E...?”, lui risponde: “E basta. Il mio Paese non fa un cazzo manco per me”. Novantadue minuti di applausi.
@pippoevai
Sì, proprio un film pieno di messaggi, di livelli di lettura, di sberleffi e controsberleffi che sembrano fatti apposta per tirare una pernacchia a chiunque pensi annettersi intellettualmente (sì, proprio intellettualmente) il comico pugliese. Che per lungo tempo è stato etichettato come un comico di destra, a causa di uno humour frettolosamente etichettato come ruvido tendente al grossolano. Ma che con questa nuova prova cinematografica smonta il discorso politico-ideologico della destra sull'immigrazione. Senza mai prendere una posizione di campo definitiva. E mica per paraculismo. È che proprio gli piace essere un irregolare. E dire quelle battute grevi che altri non potrebbero più permettersi ma a lui vengono perdonate perché sa come confezionarle. Uno spirito libero, che la libertà ha saputo conquistarsela sul campo. Con Tolo Tolo, questo spirito libero compie ciò che altri non avevano mai osato: il film di cassetta ma impegnato, il lungometraggio che va nelle sale durante i giorni del cinepanettone (e ci mette anche la medesima comicità spesso greve) ma intanto piazza spunti di riflessione che costringono a prenderlo sul serio.
E così Checco Zalone li colpisce tutti, a turno e senza risparmio. Sbeffeggia il politicamente corretto ma castiga anche un politicamente scorretto che ormai sta diventando di maniera esattamente come la controparte. Salta da destra a sinistra per sbeffeggiare entrambe le parti. E per rimanere alla stretta attualità, dedica lo sberleffo tanto al reddito di cittadinanza quanto alla flat tax. Lo fa nel corso di una storia da migrante economico che fa il percorso inverso: scappa dall'Italia lasciandosi alle spalle una montagna di debiti e si rifugia in Africa. E lì conosce la realtà che da quest'altra parte del Mediterraneo stentiamo a percepire: la fame, le guerre, il terrorismo islamico che colpisce innanzitutto le popolazioni locali, le bande di mercenari che rapiscono gli occidentali per monetizzare il riscatto, e infine il viaggio sul barcone che proprio non vorrebbe affrontare perché il ritorno in Italia è per lui una iattura. E il tutto avviene sempre lungo il confine indistinguibile fra gli interrogativi alti e la battuta grassa. Il contrasto che è la cifra dell'intero film e ormai della comicità di Zalone.
Tolo Tolo è pieno di passaggi esilaranti (fra gli altri, “Il fascismo è come la candida” strappa la risata a crepapelle), che col tempo diventeranno certamente frammenti di culto. Scegliamo di citarne due su tutti. Il primo riguarda la telefonata con Nichi Vendola, che vede l'ex governatore della Puglia lanciarsi in uno di quei suoi monologhi incomprensibili. Il secondo si ha quando, sul barcone, i migranti prendono a chiedergli cosa debbano aspettarsi dall'Italia. E lui pronuncia una sequenza che è la prima parte, leggermente modificata, della famosa frase di John Fitzgerald Kennedy: “Non chiedetemi cosa il mio Paese può fare per voi...”. E quando uno dei migranti lo invita a completarla chiedendo “E...?”, lui risponde: “E basta. Il mio Paese non fa un cazzo manco per me”. Novantadue minuti di applausi.
@pippoevai