Pelé, il sosia e quella causa da 30 milioni
PELE' VISITA PELE' - Venti lunghi anni da secondo del Re, una carriera in piena regola che ha permesso a Nicanor di ritagliarsi la sua fetta di notorietà e simpatia nell'immaginario collettivo. Tanti eventi a 'sostituire' Pelé e tante occasioni di interagire non solo con altri sosia eccellenti, ma anche con campioni come Cafu, Neymar e Amoroso. E poi c'è quella volta in cui Pelé fu lasciato fuori dall'ospedale di San Paolo in cui era ricoverato. Nel 2014 Ribeiro si era presentato per una visita di cortesia a Edson ma, tra un selfie e l'altro nei corridoi della struttura con chi lo aveva scambiato per il vero Pelé ormai 'guarito', gli era stato impedito di vederlo: "Ho potuto solo scrivergli un messaggio, gli ho augurato il meglio e che Dio lo illumini - raccontava Nicanor - spero di essere ancora vivo quando compirà 100".
QUELLA CAUSA... - Il rapporto con i sosia non è stato però sempre roseo per Pelé, perché se con Ribeiro erano rose e fiori con Samsung fu guerra vera e propria. Nel 2015 l'azienda sudcoreana aveva utilizzato una persona che assomigliava molto a O Rei per la pubblicità di una televisione apparsa sul New York Times, una mossa che non era piaciuta alla leggenda del pallone. Così, un anno più tardi, Pelé intentò causa alla Samsung tramite il suo avvocato Fred Sperling, lo stesso di Michael Jordan: chiese un risarcimento da 30 milioni di dollari, sostenendo che la pubblicità in questione gli arrecasse un danno di immagine, facendo credere ai consumatori che si trattasse veramente di O Rei.