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  • Pederzoli a CM: 'Cerci è unico. Milan d'esempio sui giovani'

    Pederzoli a CM: 'Cerci è unico. Milan d'esempio sui giovani'

    • Alessandro Salvatico

    Pochi uomini di calcio possono vantare un insieme di competenze acquisti negli anni come lo può Mauro Pederzoli. Una carriera multiforme - eppure è un dirigente ancora giovane - e un intuito sopraffino ne fanno uno dei personaggi più intellligenti e piacevoli in cui ci si possa imbattere girando per i corridoi del pallone italiano; prima osservatore, poi all'estero, al Liverpool con Benitez, poi direttore sportivo, passando per Brescia, Cagliari, Torino, Novara, quindi direttore delle giovanili al Milan, e infine il Paraguay, al prestigioso Cerro Porteño. Quando lo raggiungiamo telefonicamente ha lasciato il Sudamerica da poco: è a Miami a godersi delle meritate vacanze. 

    Si è conclusa un'esperienza che l'ha visto precursore.
    Sì, in Paraguay prima di me c'è stato Cesare Maldini che ha guidato la Nazionale, ma certo non ci sono molti altri italiani che abbiano lavorato qui.

    Cosa le lascia, quest'avventura?
    Per certi aspetti è stata un'esperienza eccezionale, mi sono misurato con una realtà davvero molto lontana dal nostro modo di intendere il calcio. Perchè qui si fa il calcio che da noi non c'è più, alimentato da una passione enorme, dove si trova una grande disponibilità da parte di tutti a contribuire con il meglio di se stessi, guidati dall'amore per questo gioco.

    Il rovescio della medaglia? Ci sarà pure...
    La mancanza di mezzi, alla lunga, diventa pesante. Perchè rende difficile il lavoro e soprattutto impedisce di progredire. Da un punto di vista tecnico il Paese esprime dei valori piuttosto buoni, al di là delle due o tre star conosciute in tutto il pianeta. Se però ai giovani di valore non si riesce a fornire per tempo i mezzi necessari, va a finire che rimangono lì a causa della poca organizzazione.

    Adesso tornerà a lavorare in Italia? Ha già parlato con qualcuno?
    L'Italia è il mio Paese, e soprattutto quello italiano è il calcio che conosco meglio, il mio punto di riferimento. Ora starò attento a gurdare, per continuare a imparare sempre; ho chiacchierato con diversi club, vedremo senza fretta.

    Quale ricordo ha della sua esperienza come direttore sportivo del Torino?
    Quella al Torino è stata un'esperienza breve, ma intensissima. Passa il tempo ma, fuor di luogo comune, non si cancella; il Toro ti rimane dentro, e alla fine dentro di me ha lasciato solo ricordi positivi. Oltre all'orgoglio personale, quello di aver potuto legare il mio nome a una società di tale prestigio. E' un onore che non può lasciar indifferente nessuno, credo, e che ci si porta dietro. Rimane il rammarico di com'è andata, quell'annata, in quella che dopo quel campionato è rimasto la mia per diversi anni in seguito: sì, scelsi di restare a viverci.

    E ora che il Toro vive una stagione positiva, cosa pensa sia cambiato?
    Io già all'epoca pensavo che Cairo avesse tutte le qualità di intelligenze e scaltrezza per muoversi bene; stiamo parlando di un imprenditore che miete solo successi. Ora ha dato forse l'unica cosa che mancava ai miei tempi, ossia la continuità.

    Se dovesse fare un nome, un solo nome di un calciatore che è orgoglioso di aver portato al Toro?
    Ne farei due, se me lo permettete... Sicuramente penso a Rolando Bianchi, ragazzo strepitoso che avevo avuto con me a Cagliari: è stata una soddisfazione aver “obbligato” il presidente Cairo a fare quello sforzo economico pazzesco per prenderlo, ma negli anni credo sia stato ripagato.

    E poi?
    E poi, su tutti, Blerim Dzemaili. Pagato pochissimo in rapporto al valore reale, oltretutto. Era già forte e con gli anni è migliorato ulteriormente, per esempio è diventato bravissimo in zona-gol mentre con noi prendeva solo i pali... (ride); eppure io so che il suo potenziale è ancora più grande, non è ancora espresso tutto. Ha le qualità per essere protagonista assoluto.

    Oggi il Toro si gode Cerci e Immobile: sono da Mondiale?
    Direi che sono una coppia da livelli azzurri, senz'altro, e dalla loro hanno anche la giovane età. In particolare Cerci è davvero un calciatore...”diverso”. Lo cercano tutti perchè è abilissimo, ha gamba, senso del gol, ha trovato anche la continuità; ma io penso sia un calciatore che ha davvero un quid in più, che lo rende eccezionale e non direttamente paragonabile con altri. In lui adoro il gusto della sfida che ha, verso il difensore, verso il pubblico e la logica.

    Che idea hanno dell'Italia calcistica, all'estero? La considerano tra le favorite per il Mondiale?
    Viene sempre valutata come una delle più forti, assolutamente; quando si fanno, su siti web o televisioni, i nomi delle candidate ai primi posti, noi ci siamo sempre in mezzo. E' la nostra storia ad averci garantito un rispetto assoluto, al di là del fatto che questo possa corrispondere o meno alla realtà attuale; ci sono un nome, una casacca...una storia.

    E secondo lei, come si comporteranno gli azzurri in Brasile?
    Quando i Mondiali vengono giocati fuori dall'Europa, le europee non vincono, dice la storia, e ci sono dei motivi sempre validi. Stavolta inoltre si gioca in casa della potenza planetaria numero 1; considerare l'Italia favorita per la vittoria finale è difficile, ma penso possa disputare un grande torneo, arrivando in fondo. Poi in realtà quando si parla di manifestazioni del genere, con le partite secche a eliminazione diretta, spesso è la condizione che conta, la condizione in cui queste partite si arriva a disputare, più ancora che il valore assoluto. La condizione, e la fortuna.

    La Serie A invece è considerata ancora “Il campionato più bello del mondo”, almeno in Paraguay...?
    Il nostro campionato sta perdendo costantemente appeal, inutile negarlo. Ha perso potere economico, e da questo derivano il calo generale; le grandi star difficilmente vengono in Italia. In Sudamerica si guardano molto la Premier e la Liga, ma soprattutto sempre più tanta, tanta Bundesliga.

    Far giocare maggiormente i giovani di talento potrebbe giovare tanto alla Nazionale quanto al campionato?
    Probabilmente sì, ma spesso è un'affermazione che rimane fine a se stessa, se non è accompagnata e anzi preceduta da tutta una serie di operazioni; andrebbe cambiato il modo in cui molti club concepiscono i vivai.

    Da ex direttore delle giovanili del Milan, che opinione se n'era fatto?
    Ho avuto l'onore di gestire il vivaio rossonero, ma il Milan in questo è più avanti di diverse altre realtà italiane; sta lavorando bene, grazie a Filippo Galli e a tutto lo staff, facendo cose buone. L'esempio dei club che operano con il tempo e la pazienza necessari potrà servire anche agli altri, io ci credo: sta cambiando. Lo vediamo proprio in rossonero, con diversi ragazzi che iniziano ad affacciarsi tra i grandi; qualche nome fra i “miei”? Dovrei farne diversi, ma di certo era un piacere notare le qualità in possesso dei vari Cristante, Petagna, Benedicic...

    Infine: la Lega ha appena rinunciato ad abolire l'istituto della comproprietà; cosa ne pensa?
    Penso che è stata un'occasione persa. Restando sul piano dei numeri, senza neppure entrare in quello dell'opinione: si gioca a calcio in centinaia di Paesi, e su centinaia di Paesi solo in uno esiste questa “cosa”; facciamoci delle domande. Peccato non si sia trovato il coraggio necessario, credo che la sua cancellazione avrebbe portato molta più chiarezza nelle situazioni di mercato.


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