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Pastore: "I Friedkin mi hanno mandato via e Mourinho nemmeno ha voluto parlarmi"
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L’anca come va?
"Adesso va bene, sto bene. Mi sono operato, ho messo una protesi all’anca sinistra e mi ha cambiato completamente la vita: non ce la facevo più ad alzarmi con dolore ogni giorno, avere sempre male. Adesso non lo sento più, piano piano mi sto allenando e tra un mese o due comincio a correre, per vedere come procede e provare le sensazioni in campo. Finalmente, ho voglia di tornare a giocare a calcio".
Ti manca la tua routine di sempre?
"A dire la verità no, non tanto. Ho sempre fatto fatica a immaginare il “dopo”, come sarebbe stato non allenarmi tutti i giorni, avere gli orari e il calendario della squadra, fare la vita che faccio praticamente da quando ho sei anni. In qualche modo mentre giochi sembra che sarà così per sempre, non ti immagini qualcosa di diverso. Ma ora che sto vivendo a pieno la mia vita da genitore, passando tempo con mia moglie, a casa, viaggiando… sono cose che non ho mai fatto, e che mi sto godendo".
Ritiro imminente, quindi? "Non ci sto pensando adesso. Non ho ancora deciso, però riprendere mi sembra una cosa abbastanza lontana e difficile, ad oggi. Poi ad agosto tornerò in campo, e chissà, magari mi sentirò incredibilmente bene e mi tornerà quella spinta. Non lo escludo, vediamo. So solo che a calcio giocherò sempre, in ogni caso, anche quando sarà solo per passione: livello più basso, tranquillo, per divertirmi io…"
Prima dicevi
«Felice del mio percorso, anche se non è stato tutto perfetto». Ho avuto momenti positivi e momenti negativi, come normale. Mi dispiace per come sono andate le cose a Roma, sicuramente: speravo di avere un percorso più lungo lì, di riuscire a dare di più. Ho fatto delle partite buone, la gente si ricorda alcune giocate di qualità, ma avrei voluto fare molto di più. Purtroppo tra i problemi che ho avuto, gli otto mesi fermo per recuperare dall’intervento all’anca, è andata così. Peccato".
Anche per come è finita
"Sì, quando c’è stato il cambio di proprietà. Nel momento in cui la Roma è stata venduta, io ero infortunato da mesi, dopo l’intervento all’anca: dovevo capire se sarei potuto tornare in campo, quando, in che condizioni. Loro purtroppo sono arrivati proprio in quel momento, e mi hanno detto fin da subito di non volermi. A me rimanevano due anni, ed era il mio ultimo contratto importante, quindi era una situazione difficile anche dal punto di vista economico. Io però capivo la loro prospettiva e conoscevo la mia condizione fisica, e alla fine ho pensato più con il cuore che con la testa: mi sono svincolato durante l’ultima settimana di mercato, per cercare un posto più tranquillo dove testare il mio corpo e capire se potevo tornare a giocare".
La scelta di scaricarti è firmata più Friedkin che Mourinho, quindi. Come l’hai presa?
"È stata sicuramente una scelta della società, anche perché già prima che arrivasse Mourinho erano stati chiari con me su questo punto. Mi è dispiaciuto molto perché io mi ero operato e avevo fatto sette mesi di riabilitazione per cominciare quell’anno con la squadra, fare la preparazione estiva e le amichevoli con il gruppo, dimostrare che potevo tornare bene dopo l’operazione all’anca. Non mi è stato permesso, però: sono stato un mese e mezzo ad allenarmi da solo, lontano dalla squadra, e quella non era una reale opportunità per me. Mi sarebbe piaciuto almeno avere un confronto, parlare con un allenatore che mi dicesse – in faccia, di persona – «preferisco un altro tipo di giocatore», o «ho dovuto scegliere tra lui e te». Io invece con Mourinho non ho mai parlato, nemmeno una volta".
Ti aspettavi un trattamento diverso da Mourinho?
"Non saprei, ho tanti amici che hanno giocato per lui ma a me non è mai capitato. So che ognuno ha la propria esperienza con lui, e credo che il suo rapporto con i giocatori ultimamente sia cambiato molto, almeno per quello che ho saputo dei suoi anni al Chelsea e al Manchester United, gli ultimi grandi club dove ha allenato. Non si fa problemi ad andare contro i “veterani”, a dare più responsabilità ai giovani. A Roma c’eravamo io, Fazio, Pedro, Nzonzi, giocatori di grande esperienza che la società non voleva più e che lui non ha voluto “proteggere”, diciamo. Mi è dispiaciuto, lo dico sempre, ma nel mondo del calcio sono cose che succedono".
A Roma i problemi fisici non ti hanno dato tregua, hai giocato solo 36 partite in tre anni: quanto era frustrante per te, in tutto ciò, leggere anche le tante critiche che hai ricevuto?
"Un po’ era difficile, sì, ma lo capivo. Sul momento la gente e soprattutto il tifoso pensa solo: «Perché non gioca Pastore? Se perdiamo è perché lui non c’è, o se vinciamo, comunque, perché lui non c’è?». Il tifoso vede il momento, vede adesso, ma a questo noi calciatori siamo abbastanza abituati. Alla gente di Roma comunque non rimprovero niente, anzi. L’affetto dei tifosi e la voglia di ripagarli mi davano tanta forza, anche nei momenti più duri, ma era molto faticoso per me. Non ce la facevo davvero più: se mi allenavo al 100%, i giorni dopo sentivo dolore anche soltanto a scendere dal letto e camminare, quindi dovevo gestirmi. Mi allenavo praticamente un giorno sì e uno no, lavoravo a parte rispetto alla squadra, per riuscire a giocare nel fine settimana".
È arrivato un momento in cui hai detto “basta”?
"Sono stato due anni convivendo con il male all’anca, e dopo quattro mesi senza allenarmi, chiuso in casa per la pandemia, è arrivato il punto in cui ho cominciato a pensare: basta. Ma è stato il corpo, non la testa, a farmelo pensare: io avevo tanta voglia di tornare in campo, dimostrare il mio valore e aiutare la squadra, ma il mio corpo non mi era d’aiuto. Per mesi mi ero allenato prendendo medicinali e facendo infiltrazioni ogni singolo giorno, con i medici della Roma che dicevano al mio procuratore: «Fallo fermare per favore, non possiamo vederlo così». Zoppicavo, avevo male, però non volevo fermarmi, anzi mi allenavo duramente per tornare in forma. Mi dicevano: «Flaco, fermati, non puoi andare avanti così».