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Passato da fondista e un futuro radioso a suon di km: Luis Enrique si gode Pedri, il 'Kanté delle Canarie'
Un passato - e forse un futuro mancato - da fondista, un retroterra che nel calcio "poetico" di Pedri si fa largo senza alcun tipo di problema ed imbarazzo. Il genietto coltivato dal Las Palmas e sbocciato a Brecellona tra le mani di Ronald Koeman non è il classico calciatore spagnolo dal fisico minuto, la grande tecnica di base a discapito del dinamismo. I numeri collezionati dal talento canario nelle prime quattro partite disputate ad Euro 2020 dicono esattamente il contrario, facendone uno dei principali "corridori" del torneo con i suoi 11,7 km di media percorsi per gara, dietro soltanto ad Ekdal e Sabitzer. Di certo il primatista nella nazionale spagnola.
IL KANTE' DELLE CANARIE - Sono arrivati a definirlo, quasi impropriamente, il Kanté delle Canarie, perchè dentro questo motorino instancabile che la nazionale olimpica spagnola vorrebbe tanto con sé a Tokyo (dopo un'annata molto dispendiosa tra il blaugrana del Barça e la camiseta delle Furie Rosse) c'è una qualità e un carisma da giocatore nato pronto che non poteva sfuggire ad un tecnico acuto come Luis Enrique. Che lo ha preso sotto la sua ala protettiva, insieme ad un professore in cattedra come Sergi Busquets, per trasformarlo da subito in un centrocampista di livello internazionale. E consegnandogli, ad appena 18 anni, le chiavi del centrocampo. Prese con la stessa naturalezza con cui giocava da bambino o scherzava e forgiava il carattere con gli avventori del bar che il padre gestisce a Tegueste.
IDEE CHIARE - Personalità da vendere, senza perdere di vista gli ampi margini di miglioramento che ancora ha ("Koeman e Luis Enrique mi dicono di entrare di più in area per calciare") e concetti molto chiari sul calcio che ha in mente. "La nostra idea di gioco resta sempre la stessa, tenere il pallone per non farci attaccare dall'avversario e con l'obiettivo ovviamente di arrivare a tirare in porta", dice Pedri, che dalle gare sugli 800 e sui 3000 metri è arrivato a macinare chilometri su chilometri con la maglia della Spagna, senza perdere in qualità e senza accusare apparentemente la fatica. Svizzera, una tra Belgio e Italia e poi la finale, gli ultimi step del Kanté delle Canarie verso un sogno chiamato Europeo.
IL KANTE' DELLE CANARIE - Sono arrivati a definirlo, quasi impropriamente, il Kanté delle Canarie, perchè dentro questo motorino instancabile che la nazionale olimpica spagnola vorrebbe tanto con sé a Tokyo (dopo un'annata molto dispendiosa tra il blaugrana del Barça e la camiseta delle Furie Rosse) c'è una qualità e un carisma da giocatore nato pronto che non poteva sfuggire ad un tecnico acuto come Luis Enrique. Che lo ha preso sotto la sua ala protettiva, insieme ad un professore in cattedra come Sergi Busquets, per trasformarlo da subito in un centrocampista di livello internazionale. E consegnandogli, ad appena 18 anni, le chiavi del centrocampo. Prese con la stessa naturalezza con cui giocava da bambino o scherzava e forgiava il carattere con gli avventori del bar che il padre gestisce a Tegueste.
IDEE CHIARE - Personalità da vendere, senza perdere di vista gli ampi margini di miglioramento che ancora ha ("Koeman e Luis Enrique mi dicono di entrare di più in area per calciare") e concetti molto chiari sul calcio che ha in mente. "La nostra idea di gioco resta sempre la stessa, tenere il pallone per non farci attaccare dall'avversario e con l'obiettivo ovviamente di arrivare a tirare in porta", dice Pedri, che dalle gare sugli 800 e sui 3000 metri è arrivato a macinare chilometri su chilometri con la maglia della Spagna, senza perdere in qualità e senza accusare apparentemente la fatica. Svizzera, una tra Belgio e Italia e poi la finale, gli ultimi step del Kanté delle Canarie verso un sogno chiamato Europeo.