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    Parolo rivela: "Immobile arrivò alla Lazio forse anche grazie alle parole che spesi con Tare"

    Parolo rivela: "Immobile arrivò alla Lazio forse anche grazie alle parole che spesi con Tare"

    Marco Parolo, ex centrocampista della Lazio e della Nazionale, e attuale commentatore televisivo, si racconta in una lunga intervista rilasciata a Radio TV Serie A con RDS

    DANTE
    “Mio figlio Dante ha 10 anni. E’ molto mobile come me, atletico. Ha fatto solo un anno di calcio. Io che mi commuovo raramente, mi sono emozionato tantissimo quando ha segnato il suo primo gol. Da genitore ti rendi conto di quanto loro hanno fatto per te soprattutto nei tuoi primi passi sui campi da calcio”.

    LA PANCHINA E IL SOGNO
    “Ho smesso di giocare e mi sono preso del tempo per valutare e capire meglio il ruolo dell’allenatore. Più passa il tempo più l’occhio mi sembra tecnico. Tra poco faccio 40 anni e può iniziare una nuova vita. Verso fine carriera capivo meglio i miei allenatori. Soprattutto nell’ultimo anno, l’ultima partita. Stadio vuoto, periodo covid, sapevo che non avrei rinnovato con la Lazio. Mi sono messo lì, nell’area tecnica e dentro di me si è creato un sogno. I sogni non si raccontano ma non è molto distante da quella panchina (ride ndr)”.

    PROPOSTE
    “Ho ricevuto due proposte per entrare in Staff Tecnici importanti. Non me la sono sentita. Credo di essere un allenatore decisionista e quindi in prima. Ho preferito dire di no, ringraziare e continuare la mia strada di studio e preparazione”.

    LE GUIDE
    “Ho preso tanto da tutti gli allenatori che ho avuto. L’amore per il calcio, quello che ti sprona a dare tutto da Antonio Conte. Conoscerlo prima mi avrebbe addirittura fatto fare un ulteriore step in carriera. Pioli aveva già l’idea di un calcio mobile. Una volta aveva in mente di far muovere da terzino a mediano dentro il campo Dusan Basta. Dusan non lo muovevi da lì ma quell’idea in seguito l’abbiamo vista sviluppare da Guardiola con Walker. Da Inzaghi ho assimilato la capacità di gestione del gruppo. C’è anche Prandelli, uomo di spessore assoluto. 

    LA FAMIGLIA
    “Ho scritto un libro con Marco Cattaneo per i ragazzi, “Quando giochi”. C’è un capitolo dedicato ai genitori. I miei controllavano soltanto quanto mi divertivo e se fossi felice. Alle 8 del mattino mi portavano al campo dal varesotto al milanese. Io a giocare ma loro al freddo. Mio papà è sempre stata l’unica persona che chiamavo al termine di ogni partita. Non aveva mai il coraggio di dirmi quando giocavo male. Lui e mio zio hanno macinato chilometri per me”.

    SCUOLA CALCIO
    “Nel 2016 giocavo ancora eppure ho voluto realizzare uno dei sogni che ho sempre avuto. Una Scuola Calcio tutta mia. Una realtà dove ogni bambino non vede l’ora di andare, di allenarsi, di divertirsi. Vedo passione ogni giorno al Torino Club Gallarate. Abbiamo due centri sportivi, stiamo sistemando il secondo. Il calcio deve essere una scuola di vita che ti prepara al futuro nel mondo, che sia o meno nel calcio”.

    ORATORIO
    “Era il mio posto sicuro. Andavo con la bicicletta. Giocavo a tutti gli sport. Per me è stato fondamentale. Questa mentalità la vorrei riportare nella mia Scuola Calcio. Sto lavorando per il dopo-calcio. Modello USA, centro estivo tutto l’anno. Quando ti abitui a vivere in certi contesti trovi il giusto equilibrio tra personalità diverse. Insegni ai ragazzi ad affrontare la realtà con educatori e insegnanti formati e preparati”. 

    COMO
    “A Como più salivi di livello e più trovavi competenze. Quando ero in Primavera e la Prima Squadra era in A e in B. Alcuni miei compagni venivano già convocati. Io no. Massola, grande personaggio conoscitore di calcio, mi disse di continuare ad allenarmi con quella intensità che sarei arrivato lontano. Così è stato e con il senno di poi meglio così. O quella rabbia per non essere tra i prescelti in Prima Squadra la trasformavo in frustrazione, oppure in ambizione e voglia di migliorare. Lo stesso accadde in Nazionale Under 20. C’erano giocatori fortissimi poi però li ho ritrovati al Mondiale come miei compagni di squadra”.

    SERIE C
    “Oggi guardo la Serie C con grande curiosità, anche per deformazione professionale pensando ad un futuro in panchina. Una categoria che sta dando grande spazio ai giovani. Io la feci per cinque anni e mi sono serviti tantissimo. Dallo stare nello spogliatoio con adulti, passando per la lotta alla salvezza, fino a rimanere fuori dai convocati”.

    IL PERCORSO
    “Fossi uscito da un Settore Giovanile e mi avessero messo subito in Prima Squadra non sarei riuscito probabilmente a fare lo stesso percorso. Ho avuto difficoltà a Pistoia in C, il secondo anno, ho avuto la fortuna di andare a fare uno stage con l’Under 20 in Serie C. MI videro Prandelli e Cherubini. Cherubini mi prese a Foligno, lì conobbi Bisoli che poi mi portò a Cesena. Il treno giusto è passato proprio in quel giugno con l’Under 20. Mi sono preso il momento e sono salito sulla carrozza giusta”.

    SALTO DI QUALITA’
    “A Cesena arrivò la prima chiamata in Nazionale ma non ero pronto. Davo tutto per scontato. Il secondo anno fu complicato a Cesena. Arrivavano sirene di mercato che mi distraevano. Fortunatamente a Parma ho conosciuto Donadoni. Al primo incontro, nel momento in cui mi ha stretto la mano, mi ha trasmesso una mentalità vincente che mi ha persuaso fin da subito. Una stima reciproca che rimane anche oggi. Quando giocavamo a calcio tennis era incredibile quanto voglia avesse di vincere oltre alle rovesciate straordinarie che mi lasciavano senza parole. Il secondo anno a Parma è stato il più bello a livello personale, fisico, da giocatore. Stavo benissimo”.

    LA LAZIO
    “L’anno precedente con il Parma eravamo arrivati 6°, sopra la Lazio, con una squadra che aveva un progetto ambizioso. Alla proposta della Lazio ero titubante perché avrei preferito raggiungerli in un altro momento della mia carriera, ma alla chiamata di Pioli, quando mi venne spiegato il progetto e la realtà Lazio e mi vennero messe davanti le difficoltà economiche del Parma di quel momento, decisi di accettare le tre componenti e arrivai alla Lazio. Ad oggi dico: menomale che ho trovato la Lazio: una realtà che sposa totalmente quello che sono io, un centro sportivo bellissimo, un tifo meraviglioso e una società che ti lascia esprimere. Con Igli Tare ho avuto tanti confronti su come crescere e costruire un progetto all’interno di Formello; il nostro era un rapporto di fiducia diretta, in grado di stimolarti e di darti la scossa quando serviva. Ci siamo confrontati sulla squadra e su come migliorare, non è usuale che un direttore si apra così con un giocatore, quindi ho apprezzato ancor di più questa cosa. Uno dei miei rammarichi è stato il secondo anno alla Lazio dove forse si sarebbero potute fare scelte diverse sul mercato. Il trofeo che ricordo con più gioia è la Coppa Italia; ci ero arrivato vicino diverse volte in carriera e la finale del 2019, contro l’Atalanta, per me ha avuto un valore doppio. Da quella partita dipendeva il mio futuro e quello della società; quella vittoria fu una liberazione. Io volevo rimanere e continuare a crescere lì, con questa società. Volevo essere presente anch’io nelle foto dei vincitori accanto ai trofei a Formello”.

    L’ESORDIO IN CHAMPIONS LEAGUE
    “Sentire la musica della Champions era un sogno che avevo. Quattro partite e 2 gol: le statistiche stanno dalla mia parte. Mi manca solo il gol solo con la Nazionale, per il resto ho firmato il tabellino in ogni competizione a cui ho partecipato".

    599 PRESENZE TRA I PROFESSIONISTI
    “Era abbastanza facile farne una in più, mi sarei inventato qualcosa per arrivare alla seicentesima. Vedere quel numero sui siti di statistica mi dà un po 'fastidio. A saperlo prima…”.

    I DERBY
    “Il primo derby è stato qualcosa di incredibile. Quello che si dice è vero: di quella partita ne senti parlare ancor prima di arrivare a Roma. Quindici giorni prima inizia a scaldarsi l’atmosfera, la settimana che lo precede ancor di più, poi entri allo stadio ed è carica pura. Il primo derby, ci diedero la possibilità di scaldarci sotto la Nord, la nostra curva. I tifosi ci giravano intorno ed era energia allo stato puro; non ho mai visto una tensione così forte come in quella partita. Lo stadio pieno, un muro biancoceleste contro un muro giallorosso. È il derby del famoso selfie di Totti: un pareggio della Roma che era sotto 2-0. Nessuno si ricorda il quasi gol di Mauri di tacco evitato solo grazie ad una parata incredibile di De Sanctis. Il livello di adrenalina provato in quella partita non l'ho provato mai più: il primo derby non si scorda mai. Nel derby spesso chi parte svantaggiato poi porta a casa il risultato”.

    LA NAZIONALE
    “29 Marzo 2011 è la data del mio esordio. È stata un emozione grande. Eravamo a Kiev, conservo ancora il pallone con tutte le firme. Non ricordo niente di quei minuti giocati, ero frastornato; lì toccai il traguardo della nazionale. Dico toccai non a caso: penso che solo quando ti assesti e giochi con continuità, il traguardo lo raggiungi. Quando ti vedi in tutte le convocazioni allora sì, sei parte della Nazionale. Nel 2016 io ero convinto che ce l’avremo fatta; eravamo un gruppo forte, solido e coeso. Le lacrime del giorno dopo le ricordo tutte, le parole profonde che ci siamo scambiati e le emozioni vissute rimangono. Ce la siamo giocata e abbiamo perso ai rigori, ma quella scottatura non me la sono tolta velocemente; anche durante l’ultimo l’europeo vinto, non ero troppo sereno. Arrivare ai rigori e rivivere quanto vissuto anni prima non è stato piacevole anche se per fortuna si è concluso con un epilogo diverso. Il 2016 è il rimpianto più grande della mia carriera”.

    IL SENSO DI RESPONSABILITA’
    “Sono contento di essermi guadagnato con impegno tutte le responsabilità che mi hanno dato. A Parma il Vice di Donadoni un giorno mi disse “andrai alla Lazio e farai bene, molto bene; diventerai capitano”. Quando mi diedero la fascia mi ricordai di quelle parole e capii davvero il peso che quella fascia porta con sé. I veri campioni sono quelli che si sanno prendere sempre le responsabilità. A volte non ero in grado di essere così performante e in quei momenti ho pensato a chi è stato in grado di caricarsi una squadra sulle spalle (da capitano) in qualsiasi momento, anche in momenti difficili e lì si trovano i campioni veri, quelli che rimangono nella storia”.

    IMMOBILE
    “Immobile arrivò forse anche grazie alle parole che spesi con Tare. Immobile lo vivevo in Nazionale e lì avevo capito che sarebbe stato fondamentale anche alla Lazio, segnava sempre. Andai con Marchetti a parlarne in modo super positivo per provare in qualche modo a spingere su quei contatti che già c'erano stati. Una delle scene più belle del percorso di Ciro corrisponde alla prima amichevole fatta in ritiro in Germania: Lulic e Radu erano in tribuna perché un po’ affaticati, loro erano il crash test, davano le sentenze mettendoti subito alla prova. Ciro quella partita non ne azzeccò una e subito iniziarono gli sfottò su di lui che poi dimostrò davvero quelle che erano le sue qualità. I legami rimangono sempre e quando ti rivedi, ti rivedi con il sorriso e il modo di scherzare rimane uguale”.

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