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    Paolo, pensa a papà Cesare e accetta la 'sfida Milan'

    Paolo, pensa a papà Cesare e accetta la 'sfida Milan'

    • Marco Bernardini
    Per il bene e per la stima avuta nei confronti di Cesare Maldini, ritengo di essere autorizzato a suggerire un paio di cose a Paolo il quale, in queste ore, si trova a galleggiare nel mare del dubbio e dell’incertezza comunque consapevole che dalla sua decisione definitiva dipenderà il futuro personale e anche quello di una società di calcio chiamata Milan.

    Il figlio primogenito di un grande uomo perbene, oltreché di una figura professionalmente carismatica, come fu “el fiol de ‘na mula” di Trieste, non credo possa sottrarsi a quella che verosimilmente sarà stata l’ultima chiamata per poter vestire la divisa rossonera. Un’opportunità che, da come si erano messe le cose prima con l’ostracismo di Galliani e poi con l’arrivo degli imprenditori cinesi, francamente appariva remota se non addirittura impossibile. Poi a regolamentare il traffico nei crocevia del Milan è arrivato Marco Fassone. Un giovane manager di indiscutibile qualità in grado di osservare le cose con la lungimiranza di colui che è capace di andare oltre le problematiche legate alla stretta attualità. Bene, per il Milan. Il geniale torinese ha subito capito che tra il passato berlusconiano e il futuro orientale ci stava un elemento fondamentale per il risorgimento rossonero. Il dovere di colmare il gap di empatia ancora inesistente tra il popolo rossonero, la vera forza della società, e la nuova proprietà. Il Milan del presente e quello del domani, insomma, non poteva essere rifondato sopra una struttura priva di un fondamentale pezzo mancante.

    Un vuoto, beninteso, non colmabile con una semplice e informale “bandiera”. Ruolo, questo, che Paolo Maldini come qualsiasi atra persona minimamente saggia avrebbe rifiutato a prescindere. Infatti Fassone all’ex capitano del Milan ha proposto molto ma molto di più. L’ingresso, a testa ben alta, per la composizione di un triumvirato del quale il manager incaricato come amministratore delegato sarebbe ovviamente il vertice perché in tal modo ha stabilito la proprietà. Paolo Maldini tentenna. Chiede tempo. Riflette, valutando pro e contro. Soprattutto non pare convinto fino in fondo, non per questioni di denaro (non ne ha necessità) ma di potere. Lui, infatti, vorrebbe essere per il Milan ciò che per esempio Leonardo ha rappresentato per il Paris Saint Germain. Unico e solo responsabile dell’area tecnica senza necessità di doppia o tripla firma sui documenti delle decisioni importanti.

    Mi piace sottolineare che Paolo Maldini, che conosco da quando andava in triciclo, non è un presuntuoso e, anzi, conosce benissimo i suoi limiti come tutte le persone di qualità. Certamente a livello imprenditoriale, nel calcio, sarebbe un esordiente. Comunque non uno sprovveduto. Se le aziende dei suoi fratelli e sorelle funzionano a dovere è anche per merito suo. Di pallone ne sa più che basta, possiede una cultura generale sufficientemente solida e ampia, la sua immagine pubblica non è mai stata messa in discussione è eticamente e né praticamente.

    Detto ciò a suo favore, mi sentirei obbligato a tiragli le orecchie semmai dovesse lasciarsi passare sotto il naso l’ultimo tram rossonero che sicuramente non tornerebbe mai più indietro per riprenderlo a bordo. Lo farei anche a nome e con l’autorizzazione di papà Cesare la cui assenza, in questo momento e insieme a quella di mamma Marisa, si fa pesantemente sentire. Sono certo che il patriarca, dall’alto della sua saggezza, non esiterebbe nel consigliare suo “Paolino” di accettare al volo l’offerta di Fassone. E di farlo anche con entusiasmo e con orgoglio. Cesare, infatti, ricorderebbe al figlio che anche lui, dopo essere stato capitano e bandiera del Milan, dovette “adattarsi” al ruolo di vice ( con Bearzot in Spana e come responsabile dell’Unde 21 ) prima delle definitive promozioni. Pensi dunque a suo papà, Paolo. E al popolo rossonero che lo vuole e che non vede l’ora di riabbracciarlo.

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