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Panchina d'oro: Sarri come Inzaghino, perché sta antipatico ai suoi colleghi
Gli allenatori hanno votato con la classifica in mano. «A chi dovevo dare il mio voto se non ad Allegri?», ha detto il ct Mancini. Va bene, sia chiaro, perché noi siamo fatti così, siamo risultatisti, non filosofi dello spettacolo, pensiamo alla prosa, meno alla poesia. Allora però gli allenatori devono fare una cortesia a quei giornalisti, appassionati, osservatori esterni che basano le loro analisi solo sul risultato: non li devono più criticare. Quante volte sentiamo dire in conferenza stampa che «al di là degli episodi abbiamo fatto una buona partita»? Se contano gli episodi, le vittorie, come hanno dimostrato nella votazione della Panchina d’Oro, fermiamoci lì.Tuttavia per Sarri questo discorso vale fino a un certo punto. Lui, l’anno scorso, non ha fatto solo poesia, ma anche risultati. Ha fatto 91 punti col Napoli, record storico per il club di De Laurentiis, ma i 9 punti di distacco da Allegri sono più del doppio del distacco dalla Juventus nel campionato scorso.
Dobbiamo fare i complimenti a Simone Inzaghi («l’ho votato anch’io», ha detto Allegri, forse perché lo aveva battuto due volte su tre nella stagione scorsa), arrivato secondo a quota 8 come il tecnico di Figline, ha creato una bella Lazio che però ha lasciato all’Inter il quarto posto perdendo lo scontro diretto all’ultima giornata. Nel suo caso, per gli allenatori che lo hanno votato, contava il gioco. Nel caso di Sarri non contava né il gioco, né il risultato, ma la simpatia. Vediamo se in Inghilterra gli andrà meglio.