La bulimia di aggettivi per incensare Fabrizio Miccoli è ancora in corso a tre giorni di distanza da quell'inno al calcio che ha intonato al 'Barbera' (e che è stato il de profundis di De Carlo). I mille gol del Palermo in Serie A sono il tributo del caso a un campione senza precedenti in maglia rosanero. Gliene mancano due per arrivare a 100 in A, pantheon che appartiene a pochi eletti. È vero, si dice spesso che Miccoli in carriera abbia raccolto meno di quanto meritasse; l'unico suo difetto è che se non si sente il numero uno non sa stare a meraviglia tra i tanti. Ecco perché alla Juventus non era nemmeno 'primus inter pares'. Alla fine ha preferito essere profeta in provincia e non discepolo in una big.

Senza i suoi gol - per la cronaca 69 in 142 partite di campionato, 76 totali in rosa - il Palermo oggi sarebbe in Serie B al termine di un campionato vissuto sull'orlo del baratro. Facile, quasi lapalissiano affermare che senza Miccoli il Palermo sarebbe un'altra squadra. E qui sta il busillis, giusto per usare un'altra espressione complicata come le reti che si inventa il genietto di Nardò. Nonostante la sua classe da gigante, Miccoli non può sempre togliere le castagne dal fuoco, anche perché - e qui Fabrizio si arrabbia - non può giocare tutte le gare di un campionato.

Andiamoci da un'altra prospettiva: Gasperini non può appoggiarsi alle meravigliose mattane (buone, s'intende) del re di Palermo. Cucinare con gli ingredienti in organico non è facile: lontani i tempi delle vacche grasse dove bisogna strapparsi i capelli per capire quale big lasciare fuori. Oggi la dimensione è un'altra e bisogna passarsi e ripassarsi le mani tra i capelli per decidere chi affiancare all'unico campione. Lasciando in pace Dybala, che è un ragazzino sovra-responsabilizzato dall'opinione pubblica, Hernandez e Ilicic devono darsi una smossa, esorcizzando il demone della fumosità e diventando, una buona volta, giocatori concreti. Per qualche ripetizione, la migliore scuola è vicinissima: basta fare un colpo di telefono a Miccoli.