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  • Pagotto: "Io e Buffon i portieri più forti, poi ho scoperto la cocaina. Oggi raccolgo funghi"

    Pagotto: "Io e Buffon i portieri più forti, poi ho scoperto la cocaina. Oggi raccolgo funghi"

    C'è stato un periodo, in Italia, in cui Gigi Buffon non era il portiere più forte di tutti. O meglio, non da solo. Insieme a lui c'era Angelo Pagotto, quasi 50 partite in Serie e un Europeo Under 21 vinto insieme a Totti, Cannavaro e gli altri. Gli inizi nel Napoli, un no alla Juventus e la stagione da vice di Sebastiano Rossi al Milan. Il momento più basso di Pagotto è stata la squalifica per 8 anni a causa della cocaina: "Per me era evasione, soprattutto quando non avevo obiettivi - racconta Pagotto, oggi 51 anni, in un'intervista al Corriere della Sera - In quel momento ero al Crotone, giocavo poco, la mia carriera era finita. Ho conosciuto tante brutte persone a cui non ho saputo dire di no. La droga mi distaccava dalla realtà. Credevo che risolvesse i problemi, ma non era così. Ne sono stato dipendente per tre anni e ho sofferto di depressione. Per sei mesi non mi sono alzato dal divano, prendo ancora gli psicofarmaci. Ho provato a smettere diverse volte, non ci sono mai riuscito".

    IL PASSATO - "Se mi guardo indietro vedo la preoccupazione negli occhi di mia madre. Ho 14 anni, mi chiama il Napoli e mi trasferisco da Verbania. Era spaventata, mi aveva cresciuto da sola. Faceva l’operaia andando avanti e indietro dalla Svizzera per garantirsi quelle 700/800 lire in più al mese. Mi ha dato la possibilità di credere nei miei desideri, non mi ha mai precluso di sognare. Oggi non siamo in buoni rapporti, spero un giorno di ritrovarla e di ridere insieme delle cavolate fatte".

    MARADONA - "Negli ultimi mesi in azzurro si allenava da solo col preparatore. Quando si stufava, iniziava a giocare con noi ragazzi. Tirava in porta, provava i rigori, ci dava consigli. Abbiamo avuto gli stessi problemi. Io mi sono ripreso, lui no".

    LA SQUALIFICA COL PERUGIA - "Ma fu un'ingiustizia. Feci tre controlli uno dietro l’altro e risultai positivo solo a quello di mezzo. Strano, no? La magistratura aprì un’indagine, un inquirente mi disse che era stato chiaramente commesso un reato ma che non aveva trovato la pistola fumante, cioè il colpevole, colui che aveva scambiato le provette. Per non parlare del valore delle mie urine, totalmente sballato quando arrivarono al centro clinico. Per coprire altri, hanno colpito me. In quel momento giocavo poco, non contavo niente. E avevo cinque anni di contratto… Il Perugia mi disse che, se avessi ammesso e patteggiato, la squalifica sarebbe stata di appena 8 mesi. Ma non lo feci, ero innocente. Ricominciai da zero a Trieste".

    LA MOGLIE - "Scatta la squalifica e mi chiede un periodo di riflessione. Guarda caso proprio quando non c'erano più i soldi di prima. Sosteneva che dovessi ammettere le mie colpe, così da salvare il contratto. Evidentemente avevo scelto la persona sbagliata. Mi trasferii per un periodo a Bordighera, dove con mia mamma avevamo comprato un hotel. Lì conosco quella che sarebbe diventata la mia seconda moglie. Da lei ho avuto due figli, Gaia di 22 anni e Alex di 18. Ma anche con lei non è finita bene".

    I MATRIMONI - "Mi sono sposato una terza volta con Carolina, da cinque anni viviamo nella sua casa di Castagno D’Andrea, sulle montagne fiorentine. Della città non mi manca niente, né il traffico né l’andare sempre di corsa. Vado in palestra, medito, raccolgo funghi e castagne. Qui il mio tempo lo gestisco io".

    IL MILAN - "Arrivo al Milan nel 1996, ma in quel momento per me era troppo. Per crescere sarei dovuto restare alla Sampdoria, fu un errore del mio procuratore. Trovai uno spogliatoio difficile da capire, comandavano Baresi e i vecchi italiani, che in campo volevano che noi giovani facessimo quello che chiedevano loro e che fuori non ci consideravano proprio. Ma se fu sbagliato andare al Milan, lo fu anche lasciarlo subito. Dovevo rimanere, come fece Ambrosini, poi diventato capitano".

    MILANO CITTA' - "Ho guadagnato 350 milioni di lire, ancora oggi non so dove li ho spesi. Cene con gli amici, regali... con quei soldi a quest’ora avrei sei case. Andavo in Via Montenapoleone e iniziavo a spendere. Versace, Armani... la banca mi aveva rilasciato anche la carta oro con cui non avevo limiti. Sperperavo 40 milioni al mese, oggi mi sputerei in faccia".

    IL NO ALLA JUVENTUS - "Ero in prestito alla Pistoiese, la mattina presto suona il telefono: 'Sono Luciano Moggi, devi venire alla Juventus. Ero convinto fosse uno scherzo, gli riattacco in faccia. Lui richiama e gli dico di sì, ma poi a Torino avrei avuto la concorrenza di Peruzzi. Ci ripenso e scelgo la Sampdoria, dove a Zenga era rimasto solo un anno di contratto. Ma a Moggi i no non piacevano, soprattutto quelli di un ragazzino. L'avrei pagata cara, trovando le porte della serie A sempre chiuse".

    L'EUROPEO - "C'è stato un periodo in cui io e lui eravamo i portieri più forti d'Italia. L'ho sentito da poco, gli ho fatto i complimenti per il nuovo ruolo in Nazionale. 'Ti devo ringraziare perché sei l'unico che mi ha fatto vincere un Europeo', scherzava. Quell'U21 era fortissima, c'erano lui come secondo portiere, Totti, Nesta, Panucci e Cannavaro, che ancora oggi mi chiama Big Jim per la pettinatura che avevo allora".

    PARTITE VENDUTE? - "È successo due volte, la prima a Perugia. Gaucci aveva litigato col mio procuratore, che era il figlio di Moggi. Al debutto in campionato perdiamo 4-3 con la Juventus campione in carica. Pioveva, il campo era viscido, il pallone scivoloso. Io faccio un errore, Peruzzi due. Ma il presidente mise in giro questa voce".

    .... E DUE - "A Trieste, dove il presidente mi elogiava. 'Pagotto è la mia Ferrari, costruirò la squadra intorno a lui'. Eravamo appena saliti dalla C, eravamo clamorosamente primi con tutti ragazzini. 'Guardi pres, siamo 11 contati. Così è dura, deve prendere qualcuno', lo avvertii. Ma non voleva spendere e dopo le prime sconfitte mi accusò. Lo denunciai alla Federazione, ma non ottenni niente. Era la mia parola contro la sua. Gli stracciai il contratto in faccia".

    LE MILLE VITE - "I fratelli della mia ex moglie gestivano una pizzeria in Germania, emigrai lì iniziando a lavorare come pizzaiolo e cuoco. Mi è sempre piaciuto cucinare, anche se un conto è farlo a casa per cinque persone, un altro in un ristorante. Sono stato due anni, poi mia figlia Gaia doveva iniziare la prima elementare. Il tedesco è un casino, era in difficoltà. Decisi di tornare in Italia, dove grazie all'aiuto di mia sorella trovai lavoro in un'azienda di abbigliamento, occupandomi delle spedizioni".

    PAGOTTO OGGI - "Se sono felice? Molto. Ho accanto una donna che amo, spero di avere un altro figlio anche se a 51 anni non sono più un ragazzino. E ho tanti obiettivi da realizzare. Non sarò contento fino a quando non li avrò raggiunti".

    IL SOGNO - "Di tornare in serie A da allenatore dei portieri. Oggi ce ne sono tanti, forse troppi. Alcuni non hanno mai giocato, cosa che invece ritengo fondamentale. Sto seguendo i corsi, sto studiando e ho appena concluso un'esperienza importante all'Avellino. Oggi alleno i portieri del Prato".

    IL FUTURO - "In campo e a portare avanti una scuola calcio dove crescere i talenti del domani. Una di quelle scuole dove si progredisce per meriti e non perché si paga e basta. Senza sacrifici non si va da nessuna parte".

    IL RAPPORTO CON LA MADRE - "Sono sempre stato io a provare a fare un passo in avanti, adesso sta a lei. Se vuole mi trova qua, sulle mie montagne".

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    Dino Sauro 05
    Dino Sauro 05

    Quindi sempre colpa degli altri. Un classico.

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