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Padovano, un dramma lungo 15 anni: 'Mai finanziato traffici di droga. Ora gestisco un parco giochi per bambini'
"Nel maggio del 2006 ero il direttore generale dell'Alessandria in Serie D. Avevo finito una cena al ristorante con amici, quando tre volanti civetta mi bloccano davanti all'ospedale di Torino. Il destino ha voluto che tutto iniziasse proprio dove sono nato e di fronte a dove mi sono sposato. Subito ho pensato che si trattasse di Scherzi a parte, poi per i modi e i tempi che si allungavano ho capito che non era così. Ma non capivo, mi portano a casa dove c’era mio figlio di 14 anni e mia moglie per prendere gli oggetti personali ed effettuare una perquisizione e quindi andiamo nella caserma dei carabinieri. Alle 4 del mattino mi trasferiscono nel carcere di Cuneo in isolamento, dove resto 10 giorni. Non ho visto l'aria, il cielo, non ho fatto una doccia: c'era un turca e un lavandino, mangiavo giusto una mela. Poi un ispettore mi dice di prepararmi: io felicissimo penso che l'equivoco finalmente si è risolto e invece mi caricano ammanettato su un blindo, entro nella gabbietta e dopo oltre 3 ore arriviamo nel carcere di Bergamo, reparto speciale. Ci sono restrizioni maggiori. Tutto il giorno stai nella cella che è chiusa, per 20 ore. Solo dalle 9 alle 11 e dalle 13 alle 15 hai le ore d'aria. Ci sono rimasto quasi tre mesi. Poi mi mandano a casa agli arresti domiciliari, dove ci resto 8 mesi per passare poi all'obbligo di firma tutte le sere in caserma per altri tre mesi".
"Dopo circa due mesi dall'arresto sono stato ascoltato dal pm a Torino per poi riportarmi a Bergamo. Ho prestato 36 mila euro a un caro amico di infanzia che mi disse che gli servivano per acquistare un cavallo. In quello stesso periodo poi lui faceva anche altro, ma io non c’entravo nulla con le sue altre attività. Era cresciuto con me da piccolo a Druento alla periferia di Torino. Ha dichiarato che quei soldi li ha utilizzati per il cavallo. Stare in cella sapendo di non avere fatto nulla di male, fa malissimo. Uno non può nemmeno immaginare quanto. Ero finito in una disgrazia e volevo comunque trovare un lato positivo e così ho sperimentato l’umanità dei detenuti. Forse c'è stata un po' di attenzione nei miei riguardi perché sono finito in cella con un detenuto che era lì da moltissimi anni e di conseguenza era ovviamente molto rispettato da tutti i carcerati. Quando poi è uscito l'ho sentito, prima gli mandavo le tute, o dei pacchi perchè quando arrivano in carcere, è una gioia pura. Ora sento ancora per messaggio un altro detenuto che faceva socialità. Veniva nella cella a mangiare con me, si poteva stare insieme dalle 18 alle 20".
"Questa brutta storia mi ha cambiato tantissimo, ma in effetti sono migliorato perché ho capito chi erano le persone che veramente contavano e mi hanno dimostrato di volermi bene: la famiglia. Mi sono sempre rimasti vicini, gli amici e pseudoamici sono spariti da un giorno all'altro. Non gliene voglio fare una colpa ma io mi sarei comportato diversamente. Basta un telefonata, un gesto, una lettera. Evidentemente ero circondato da persone che stavamo con me solo perché ero un ex giocatore popolare. Ho fatto pulizia, ora con me c’è solo chi vuole davvero bene a Michele. Il mio mondo, quello del calcio, mi ha girato le spalle. Io chiedevo solo di lavorare, ripartendo anche dal basso, invece niente e solo illusioni. Ho contattato un po’ tutti. Un peccato perché il calcio era ed è la mia passione. Una volta sono stato ricevuto da un dirigente che mi ha fatto aspettare 4 ore, mi ha proposto di diventare capo osservatore, accettai entusiasta ma poi non si è mai più fatto sentire. Ora con mio figlio gestiamo un parco giochi per bambini a Rosta alle porte di Torino. Abbiamo aperto nel settembre 2019 e siamo partiti bene anche se poi il lockdown ha rallentato tutto".