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Ottanta anni fa iniziava il campionato di guerra: calciatori in caserma e il calcio come strumento di propaganda
L'ITALIA ENTRA IN GUERRA - Dal balcone di Palazzo Venezia a Roma alle 18 del 10 giugno del 1940 il duce annuncia l'entrata in guerra dell'Italia al fianco della Germania, con la quale era legata dal Patto d'Acciaio del maggio 1939, contro Francia e Gran Bretagna. “(...) Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano.”
Come sappiamo l'Italia era ancora militarmente impreparata ad una guerra, più volte Mussolini aveva detto ad Hitler che l'Italia sarebbe stata pronta solo dopo il 1943, ma nonostante ciò nel giugno del 1940 l'Italia entra in guerra. Guerra che era già iniziata nella tarda estate dell'anno prima, quando il 1° settembre 1939 le truppe tedesche avevano invaso la Polonia. Mussolini, allora, non potendo dichiarare la neutralità – in forza del Patto d'Acciaio – ma ben conscio di non essere in grado di sostenere una guerra, dichiara la “non belligeranza”, interpretando la mancata consultazione preventiva della Germania prima dell'invasione della Polonia quale violazione pattizia. Due i problemi che nascevano per l'Italia e per Mussolini dalla “non belligeranza”. Da un lato, non partecipare alla guerra rischiava di offuscare il prestigio internazionale dell'Italia, dall'altro un rapido successo tedesco avrebbe senza dubbio avuto un “costo” nell'economia dell'alleanza. E la Germania tra l'inverno del '39 e la primavera del '40 la guerra la stava vincendo. Mussolini diventa impaziente, vuole banchettare alla vittoria, sicuro che la rapidità dei successi tedeschi avrebbe portato alla caduta del Regno Unito e alla veloce fine della guerra. Così nel pomeriggio del 10 giugno, prima all'ambasciatore francese, quindi a quello inglese, viene letta la dichiarazione di guerra: l'Italia entra nel conflitto mondiale al fianco della Germania.
IL CALCIO ITALIANO ENTRA IN GUERRA - Domenica 6 ottobre inizia il primo campionato di calcio di guerra. Guerra che Mussolini continua a ripetersi sarà brevissima, tanto che lo sport in Italia non si ferma, a differenza per esempio di quanto accaduto in Inghilterra. I calciatori, al contrario di quanto avevano fatto i loro predecessori nel 1915, non corrono in massa ad arruolarsi: rispetto al 1915 altre idee, altre visioni, altre motivazioni. E altro status. Nel 1940 “fare” il calciatore è un privilegio, nel 1915 un passatempo. Quindi nel 1940 il campionato non si ferma e i calciatori non partono per il fronte, al massimo chi riceve la cartolina precetto trascorre il suo periodo di leva in caserma. Il 6 ottobre parte dunque il campionato, dopo un'estate calcistica monopolizzata dal fragoroso passaggio di Colaussi (in foto nell'Italia campione del Mondo del 1938) dalla Triestina alla Juventus. E proprio la Juventus, assieme a Bologna ed Ambrosiana è tra le favorite della vigilia, alle quali La Gazzetta dello Sport aggiunge, come possibili sorprese, il Genova, la Lazio e il Milano. Insomma, si parte come se nulla fosse, ben presto però la guerra presenta il conto: le trasferte diventano sempre più problematiche e il calcio da solo non basta più a mantenere alto il morale della popolazione. Già in altre occasioni abbiamo avuto modo di parlare dell'importanza dello sport e del calcio in particolare nelle vicende politiche e sociali italiane, in special modo negli anni della Prima guerra mondiale. Nel 1940 il regime vuole che il calcio sia uno svago, una distrazione per le masse che non capiscono perchè si debba andare ancora in guerra. Lo sport viene usato dal fascismo come strumento di propaganda e di addestramento militare, cosa peraltro già messa in atto a livello europeo durante la Grande guerra. Non solo. Nella visione propagandistica del regime lo sport avrebbe avuto un peso notevole nel futuro assetto politico internazionale post vittoria. Interessante leggere Giuseppe Ambrosini su La Stampa del 6 ottobre:
“La guerra che l'Italia combatte, e vincerà, a fianco della sua grande alleata non porterà soltanto alla giusta realizzazione degli spazi vitali (…) finora soffocati dall'ingordigia inglese, ma anche e soprattutto a una revisione delle rispettive posizioni e ad una rettifica delle relative mentalità in ogni campo di attività. E lo sport (…) non sfuggirà, dopo la vittoria, a questa vera rivoluzione europea in atto.”
Una rivoluzione non solo politica ma anche di politica sportiva, perché se lo sport aveva avuto così larga parte nell'addestramento guerriero dei giovani di Italia e Germania era legittimo e consequenziale potesse godere “dei frutti della vittoria”. Un piano ambizioso di riscrittura dell'ordine sportivo mondiale che andava di pari passo con le ambizioni politiche di egemonia mondiale di Mussolini e Hitler che proprio alla vigilia dell'inizio di quel campionato si erano incontrati al Brennero Colloquio nel quale Mussolini ribadiva le richieste territoriali conseguenti ad un eventuale accordo con la Francia ed esponeva a Hitler le operazioni relative alla seconda fase dell'offensiva italiana in Egitto. La strada verso la catastrofe era presa.
(Alessandro Bassi è anche su http://storiedifootballperduto.blogspot.it/)