Osimhen re di Napoli e l'incredibile polemica di Carnevale: ma come si può parlare di razzismo?
E' bella, per certi versi pure invidiabile, la vita del calciatore di successo. Soldi, fama, la possibilità di un riscatto sociale, di una seconda opportunità soprattutto per chi arriva dal nulla o quasi. Ma anche l'impagabile soddisfazione di sentirsi amato fino all'idolatria da una comunità di persone, i tuoi tifosi, che in te vedono un modello di riferimento. Come un supereroe, come la stella del Napoli Victor Osimhen, il capocannoniere mascherato della Serie A e trascinatore della magnifica squadra di Spalletti anche nelle notti europee. Poi però esiste anche il rovescio della medaglia, il "lato oscuro della forza", la zona d'ombra: diventare un personaggio popolare e di culto finisce per portarti alla ribalta anche quando proprio ne faresti a meno.
Ultimi giorni riservati al Carnevale, festa dello sberleffo e del travestimento. E nella "sua" Napoli Osimhen finisce per diventare come Spiderman o Zorro, un personaggio da imitare e quindi del quale prendere le sembianze. L'idea di un papà qualunque per il proprio figlioletto: un completo del Napoli, una parrucca bionda e il volto e le mani dipinte di nero, per assumere il più possibile la fisionomia del campione nigeriano. E poi foto e video a raffica, che presto hanno fatto il giro del web e dei social, probabilmente senza immaginare quello che avrebbero scatenato. Una bagarre totale alla quale hanno partecipato due opposte fazioni: quella di chi ha visto del razzismo bello e buono - anche se evidentemente non cercato, non intenzionale - e chi ha difeso lo spirito della trovata o, per meglio dire, della goliardata. Tra le voci più critiche si è levata quella della giovane scrittrice Sabrina Efionay, nata e cresciuta nel nostro Paese ma di origini nigeriane esattamente come l'asso del Napoli. "Non aveva solo la maglia del Napoli con il nome del giocatore e i capelli biondi ma anche la pelle, le mani, la faccia tutti dipinti di un marrone scurissimo. È stata un’immagine incredibilmente disturbante. La questione è legata alla blackface , la maschera utilizzata a teatro come sfottò nei riguardi degli africani, per enfatizzare aspetti somatici a mo’ di macchietta. Sono tutti stereotipi che si fa ancora fatica a combattere", ha dichiarato Efionay.
Opionione forte e che merita rispetto, soprattutto se espressa da chi - per quello che è stato il suo vissuto - si sente molto toccata dall'argomento. Questo non significa che debba essere condivisa per forza e nella sua totalità. Il gesto di un papà che decide di vestire il figlio da Osimhen - si suppone per una mera questione di tifo e di sana passione per un la propria squadra del cuore e del proprio beniamino - può essere probabilmente derubricata più come un atto di esibizionismo non richiesto, peraltro sulla pelle di un minore. Un gesto goliardico, superficiale, forse un po' ignorante, ma la parola razzismo nell'epoca che stiamo vivendo e nella società di cui facciamo parte continua ad avere un peso ed una rilevanza tali da non essere tirata in ballo con eccessiva disinvoltura. Meglio pensare che si tratti di un eccesso in più in una città e in una piazza come Napoli, dove si tende ad amplificare tutto bel bene o nel male. Una Napoli tornata a sognare in grande come non accadeva da molto tempo e innamorata follemente di uno dei suoi idoli, costretto suo malgrado a toccare con mano tutti gli effetti di una inaspettata celebrità.
Ultimi giorni riservati al Carnevale, festa dello sberleffo e del travestimento. E nella "sua" Napoli Osimhen finisce per diventare come Spiderman o Zorro, un personaggio da imitare e quindi del quale prendere le sembianze. L'idea di un papà qualunque per il proprio figlioletto: un completo del Napoli, una parrucca bionda e il volto e le mani dipinte di nero, per assumere il più possibile la fisionomia del campione nigeriano. E poi foto e video a raffica, che presto hanno fatto il giro del web e dei social, probabilmente senza immaginare quello che avrebbero scatenato. Una bagarre totale alla quale hanno partecipato due opposte fazioni: quella di chi ha visto del razzismo bello e buono - anche se evidentemente non cercato, non intenzionale - e chi ha difeso lo spirito della trovata o, per meglio dire, della goliardata. Tra le voci più critiche si è levata quella della giovane scrittrice Sabrina Efionay, nata e cresciuta nel nostro Paese ma di origini nigeriane esattamente come l'asso del Napoli. "Non aveva solo la maglia del Napoli con il nome del giocatore e i capelli biondi ma anche la pelle, le mani, la faccia tutti dipinti di un marrone scurissimo. È stata un’immagine incredibilmente disturbante. La questione è legata alla blackface , la maschera utilizzata a teatro come sfottò nei riguardi degli africani, per enfatizzare aspetti somatici a mo’ di macchietta. Sono tutti stereotipi che si fa ancora fatica a combattere", ha dichiarato Efionay.
Opionione forte e che merita rispetto, soprattutto se espressa da chi - per quello che è stato il suo vissuto - si sente molto toccata dall'argomento. Questo non significa che debba essere condivisa per forza e nella sua totalità. Il gesto di un papà che decide di vestire il figlio da Osimhen - si suppone per una mera questione di tifo e di sana passione per un la propria squadra del cuore e del proprio beniamino - può essere probabilmente derubricata più come un atto di esibizionismo non richiesto, peraltro sulla pelle di un minore. Un gesto goliardico, superficiale, forse un po' ignorante, ma la parola razzismo nell'epoca che stiamo vivendo e nella società di cui facciamo parte continua ad avere un peso ed una rilevanza tali da non essere tirata in ballo con eccessiva disinvoltura. Meglio pensare che si tratti di un eccesso in più in una città e in una piazza come Napoli, dove si tende ad amplificare tutto bel bene o nel male. Una Napoli tornata a sognare in grande come non accadeva da molto tempo e innamorata follemente di uno dei suoi idoli, costretto suo malgrado a toccare con mano tutti gli effetti di una inaspettata celebrità.