Ora a Crotone il cielo è ancora più blu
E adesso chi lo sente Lotito! Insofferente alle promozioni “poco eccellenti” di Carpi e Frosinone, quale sarà la reazione del presidente della Lazio alla notizia che nel Gotha del calcio italiano è arrivato il Crotone? Eppure lui che, appena può, sillaba frasi in latino antico e si professa classicista dovrebbe andare fiero per la prodezza sportiva realizzata dai ragazzi della Calabria più segreta. Loro “quelli del tacco, curti e niri””, come venivano definiti con un certo disprezzo dalla gente del nord negli anni Sessanta, sono infatti gli eredi della parte più nobile della cultura antica.
Figli dei figli e dei figli della Magna Grecia, probabilmente con nel sangue i cromosomi del Pelide Achille poiché furono proprio gli Achei a fondare questa città ottocento anni prima della nascita di Gesù a Betlemme. E un campione eccezionale già lo ebbero i crotonesi. Si chiamava Milone e vinse una delle prime edizioni del Giochi percorrendo di corsa e con un vitello sulle spalle il tragitto che divideva Crotone da Olimpia. Quando arrivò, la bestia era diventata un toro e lui finì nella leggenda. Anche Lotito dovrebbe compiacersi di tanta storica nobiltà pregressa.
Questa, comunque, è l’ultima preoccupazione per i sessantacinquemila abitanti crotonesi ciascuno dei quali è anche tifoso della squadra che per la prima volta ha raggiunto la Serie A. La festa in città e in tutti i paesini del territorio non è soltanto grande. E’ cosmica. Dopo novanta minuti di silenzio quasi irreale con tutti appesi alla coda del satellite di Sky, ora volano nell’aria e si spargono per il mondo, portate da libeccio e mistral, melodia e parole inventate da quel geniale “grillo cantante” che si chiamava Rino Gaetano. Lui che sapeva coniugare la parola amore senza essere mai banale mentre infilava un dito nell’occhio dei potenti e dei disonesti. Il suo “manifesto” esistenziale fa da colonna sonora alla festa. E il cielo è ancora più blu di sempre, adesso, sopra Crotone.
Qui dove, è paradossalmente, la squadra di Juric ha saputo sconvolgere persino la logica matematica di Pitagora e della sua scuola laddove ora si può spendere il paradosso del due per due che può anche non fare quattro. Può risultare anche niente o tutto esattamente come ha dimostrato la regola del pallone dove per vincere, talvolta, non serve essere soltanto ricchi e potenti. Crotone, per qulacuno, è anche uno scrigno pieno di ricordi. Dieci anni fa, era il 19 settembre, lo stadio “Ezio Scida” esplodeva letteralmente di gente e di colori. In campo, per la notturna, come avversaria c’era la Juventus. Non si trattava di un’amichevole, ma di partita vera con la squadra più conosciuta e più amata (parimenti odiata) a vedersela contro una banda di ragazzi fino ad allora semisconosciuti alle prime pagine.
Era la stagione marchiata dall’infamia di Calciopoli e la regina degli scudetti giocava in Serie B. Vittorio Oreggia, Marina Salvetti, Camillo Forte e il sottoscritto. La “squadra” di inviati per “Tuttosport”. Eravamo arrivati a Crotone, il giorno prima, con la faccia un po’ così di quelli che scendono su Marte e non sanno cosa potranno trovare. Gentilezza, cortesia, disponibilità assoluta, cibo ruspante, ottimo vino, dolcini fatti in casa e anche un poco mi mare colore smeraldo. L’acqua era ancora tiepida, gradevole, il sole caldo e una lieve brezza carezzava la pelle. “Sarebbe bello se, un giorno, questi venissero in A. Potremmo tornare” dicevo a Vittorio, entrambi sdraiati sulle sabbia. E lui, più cinico o solamente più realista: “Intanto vediamo che sia la Juve a tornare in Seria A”.
I bianconeri di Deschamps sbrigarono la pratica piuttosto agevolmente. Tre reti per la Juve (Bojinov, Bounsong e ancora Bojinov) zero per il Crotone. Io, per far qulacosa di diverso dal solito, ero riuscito a farmi ospitare nel reparto dell’Ospedale San Giovanni di Dio, al quarto piano da dove essendo la struttura affacciata sullo stadio era possibile vedere la partita. Così, tra degenti e medici di turno e infermieri, raccontai di novanta minuti di “stand by” sanitaria durante i quali solamente chi stava proprio male non si trovava affacciato alla finestra. I giocatori, osservati da lassù, erano ancora più piccini di quelli del calciobalilla. Ma il frastuono che arrivava dagli spalti era simile a quello del tuono durante una tempesta caraibica. E alla fine, seppure fosse andata male, il popolo crotonese chiuse la serata intonando la canzone di Rino. “Chissà se torneremo mai più in questo posto di brava gene e con il mare stupendo”, riflettei a voce alta al tavolo della cena sorseggiando vino bianco secco e ghiacciato. Oreggia e Forte si toccarono. La Salvetti toccò la gamba del tavolo in ferro. Chi l’avrebbe mai detto. La Montagna era andata da Maometto. Ora sarà Maometto che andrà a far visita autorizzata alla Montagna. E Lotito può pensare ciò che meglio gli va.
Figli dei figli e dei figli della Magna Grecia, probabilmente con nel sangue i cromosomi del Pelide Achille poiché furono proprio gli Achei a fondare questa città ottocento anni prima della nascita di Gesù a Betlemme. E un campione eccezionale già lo ebbero i crotonesi. Si chiamava Milone e vinse una delle prime edizioni del Giochi percorrendo di corsa e con un vitello sulle spalle il tragitto che divideva Crotone da Olimpia. Quando arrivò, la bestia era diventata un toro e lui finì nella leggenda. Anche Lotito dovrebbe compiacersi di tanta storica nobiltà pregressa.
Questa, comunque, è l’ultima preoccupazione per i sessantacinquemila abitanti crotonesi ciascuno dei quali è anche tifoso della squadra che per la prima volta ha raggiunto la Serie A. La festa in città e in tutti i paesini del territorio non è soltanto grande. E’ cosmica. Dopo novanta minuti di silenzio quasi irreale con tutti appesi alla coda del satellite di Sky, ora volano nell’aria e si spargono per il mondo, portate da libeccio e mistral, melodia e parole inventate da quel geniale “grillo cantante” che si chiamava Rino Gaetano. Lui che sapeva coniugare la parola amore senza essere mai banale mentre infilava un dito nell’occhio dei potenti e dei disonesti. Il suo “manifesto” esistenziale fa da colonna sonora alla festa. E il cielo è ancora più blu di sempre, adesso, sopra Crotone.
Qui dove, è paradossalmente, la squadra di Juric ha saputo sconvolgere persino la logica matematica di Pitagora e della sua scuola laddove ora si può spendere il paradosso del due per due che può anche non fare quattro. Può risultare anche niente o tutto esattamente come ha dimostrato la regola del pallone dove per vincere, talvolta, non serve essere soltanto ricchi e potenti. Crotone, per qulacuno, è anche uno scrigno pieno di ricordi. Dieci anni fa, era il 19 settembre, lo stadio “Ezio Scida” esplodeva letteralmente di gente e di colori. In campo, per la notturna, come avversaria c’era la Juventus. Non si trattava di un’amichevole, ma di partita vera con la squadra più conosciuta e più amata (parimenti odiata) a vedersela contro una banda di ragazzi fino ad allora semisconosciuti alle prime pagine.
Era la stagione marchiata dall’infamia di Calciopoli e la regina degli scudetti giocava in Serie B. Vittorio Oreggia, Marina Salvetti, Camillo Forte e il sottoscritto. La “squadra” di inviati per “Tuttosport”. Eravamo arrivati a Crotone, il giorno prima, con la faccia un po’ così di quelli che scendono su Marte e non sanno cosa potranno trovare. Gentilezza, cortesia, disponibilità assoluta, cibo ruspante, ottimo vino, dolcini fatti in casa e anche un poco mi mare colore smeraldo. L’acqua era ancora tiepida, gradevole, il sole caldo e una lieve brezza carezzava la pelle. “Sarebbe bello se, un giorno, questi venissero in A. Potremmo tornare” dicevo a Vittorio, entrambi sdraiati sulle sabbia. E lui, più cinico o solamente più realista: “Intanto vediamo che sia la Juve a tornare in Seria A”.
I bianconeri di Deschamps sbrigarono la pratica piuttosto agevolmente. Tre reti per la Juve (Bojinov, Bounsong e ancora Bojinov) zero per il Crotone. Io, per far qulacosa di diverso dal solito, ero riuscito a farmi ospitare nel reparto dell’Ospedale San Giovanni di Dio, al quarto piano da dove essendo la struttura affacciata sullo stadio era possibile vedere la partita. Così, tra degenti e medici di turno e infermieri, raccontai di novanta minuti di “stand by” sanitaria durante i quali solamente chi stava proprio male non si trovava affacciato alla finestra. I giocatori, osservati da lassù, erano ancora più piccini di quelli del calciobalilla. Ma il frastuono che arrivava dagli spalti era simile a quello del tuono durante una tempesta caraibica. E alla fine, seppure fosse andata male, il popolo crotonese chiuse la serata intonando la canzone di Rino. “Chissà se torneremo mai più in questo posto di brava gene e con il mare stupendo”, riflettei a voce alta al tavolo della cena sorseggiando vino bianco secco e ghiacciato. Oreggia e Forte si toccarono. La Salvetti toccò la gamba del tavolo in ferro. Chi l’avrebbe mai detto. La Montagna era andata da Maometto. Ora sarà Maometto che andrà a far visita autorizzata alla Montagna. E Lotito può pensare ciò che meglio gli va.