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    O Charuto do Timossi: c'è poco da stare Allegri

    O Charuto do Timossi: c'è poco da stare Allegri

    Lo dico senza offesa, ma il “c’è poco da stare #Allegri” che circola in queste ore mi fa venire l’eritema solare. Lo rispetto, ma non lo condivido.

    Che la Juventus fosse appesantita dalla lucida follia del suo allenatore vincente (già capitano gregario e vincente) era evidente da almeno un anno. Credo che Conte sia cambiato in questi anni. Lo incontrai molto tempo fa, pranzammo insieme ad Arezzo, la città dove allenava, era un ragazzo simpatico, per nulla spocchioso, un allenatore pieno di speranze. Lo intervistai per la Gazzetta, il quotidiano per il quale allora lavoravo. Scherzò su tutto, anche su un tassista romano che gli chiese: «Ma lei non è morto?». Storiaccia orribile degli anni della Juve che vinceva tutto, quella guidata da Luciano Moggi, quando chi non vinceva sosteneva che tutti i giocatori bianconeri fossero “bombati” e che alla fine i bombardamenti li avrebbero rasi al suolo.

    Non era così, Conte stava benissimo, si era “dopato” solo il cuoio capelluto. Ed era già pronto per una nuova vita. Voleva allenare la Juve, la sua Juve. Punto. Dalla Toscana a Torino mi trasferii prima io, sempre per la “Gazza”. E lui, Conte, con squisita cortesia e furba discrezione telefonava (o faceva telefonare da colleghi amici suoi) tutte le volte che la panchina della Juve scricchiolava. Subito, iniziando dal detestato francese, quello che mandò l’Arezzo di Conte in B, per riportare subito la Juve in A. Quella fu la prima esitazione del Conte bianconero, la prima volta che la sua amata Signora lo fece uscire di senno.

    L’ultima è stata martedì, quando i dirigenti della Juventus gli hanno aperto la porta e lui ha deciso di andarsene, sbattendola.

    Non conosco più il nuovo Conte, meglio non ho più pranzato con lui, l’ho incontrato solo in sala stampa, ma credo che sia profondamente cambiato. Ìl potere logora anche gli uomini di potere. La Juventus ha un immenso capitale affettivo, la passione dei suoi tifosi, ma ha pure un capitale sociale. Andrea Agnelli è stato bravo (molto bravo) a coniugare la due cose e a vincere dove poteva vincere e cioè in Italia. E con lui è stato bravo (molto bravo) il suo amministratore delle questioni sportive, Giuseppe Marotta. Bravi nello scegliere e nel difendere Conte, anche quando Conte attaccava Marotta e di conseguenza Agnelli. Cosa sia cambiato negli ultimi giorni non è difficile capirlo: la misura era colma, più per la società che per il suo allenatore.

    La vittoria tedesca a Brasil 2014 ha aggiunto qualcosa: la convinzione che programmando si può vincere, un altro Mondiale (come la Nazionale) e magari un’altra Champions (come vuole la Juventus). Con Allegri la Juve di Agnelli e Marotta può farlo, anche vendendo uno tra Vidal e Pogba, visto che tutti quei milioni potranno e saranno reinvestiti per crescere ancora.

    Con Allegri all’inizio non sarà facile, vista la già palese insofferenza di tanti tifosi bianconeri, quelli che almeno in parte Conte (telefonando da Arezzo) chiamava alle armi: «Scrivilo se ti va che i tifosi vogliono me». Non mi andava, non era un buon argomento e il giovane allenatore non se la prese mai male. Poi Conte pigliatutto (in Italia) arrivò alla Juve, divenne protagonista principale dei trionfi nazionali e principale accusatore delle sconfitte in Europa. Lui, sempre in prima fila, a prescindere.

    Allegri starà un passo indietro, come fa il ct tedesco Joachim Löw, il campione del mondo più defilato della storia. Löw ha ringiovanito la Nazionale, la Germania ha avuto pazienza e ha vinto. Allegri ha ringiovanito il Milan, non ha più vinto e lo hanno cacciato. Ha sbagliato, certo, ma l’idea era giusta. Ha sbagliato, ma non lo ha fatto da solo, mai aiutano da una società rossonera in palese crisi di identità. Però insisto: l’idea era giusta, la Germania lo ha dimostrato.

    E ora la dirigenza bianconera, se saprà rimanere solida, se non avrà crisi di rigetto ai primi paragoni e alle attese contestazioni, potrà davvero aprire un ciclo vincente, anche oltre i confini nazionali. Con Allegri, che a me sembra assomigli parecchio a Löw.

    Conte? Credo che Mancini sia il favorito per la guida della Nazionale, ma certo Conte resta in queste ore un’alternativa. Potrebbe fare bene, rilanciare l’Italia e farla vincere come fece il suo maestro Lippi. Per la ricostruzione si vedrà. Se poi le cose non andranno potrà sempre rivolgersi al Padreterno: «Così non si può andare avanti, vuoi far nascere qualche italiano che sia anche un fuoriclasse del pallone?». E amen.

    Giampiero Timossi

    giornalista del Secolo XIX

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