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O Charuto do Timossi: Benitez, i tifosi non possono fare gol
Di riffa o di Rafa finisce sempre allo stesso modo. Benitez (Rafa) allenatore del Napoli alla fine non ha resistito. No, neppure lui. Sabato, alla vigilia della sciagurata sfida contro il Chievo, si è presentato davanti ai giornalisti per la solita conferenza stampa. E ha inneggiato alla guerra santa del pallone. C’era un bel sole anche a Genova, ero in festa, potevo andare a farmi un bagno e invece pure io ho ceduto: mi sono guardato in diretta Sky tutta la conferenza del tecnico spagnolo. Parlava Rafa e parlava pure il milanista Pippo Inzaghi, sul canale che 24 ore su 24 racconta tutte le novità dello sport. Per una volta mi ha colpito più Benitez. Per lui nutro stima e soprattutto simpatia. Lo conobbi nell’aprile di dieci anni fa, allo stadio Delle Alpi quando il suo Liverpool ritrovò la Juventus vent’anni dopo la strage dell’Heyesel. A Torino finì 0-0, all’andata vinsero gli inglesi 2-1, passarono il turno e poi portarono pure la Champions rimontando tre gol nella finale contro il Milan. Allora Benitez mi sembrò bravissimo nel disporre la squadra in campo, nel valorizzare le potenzialità dei suoi giocatori e soprattutto eccelso nel costruire un gruppo, vero, oltre le solite retoriche del calcio. E mi sembrò pacato, simpatico con quelle guance rubiconde, quei chili di troppo che mi inducono a solidarizzare subito, quei modi gentili. È probabile che sia così davvero, ma sabato ha ceduto. Ha detto in sintesi che i giornalisti di Napoli devono aiutare il Napoli, mica creare dei problemi. Mica fare il loro lavoro, quello che immagino facciano trovando e scrivendo notizie. Le notizie sono vere o false. Stop. Ho smesso di preoccuparmi se una notizia è bella o brutta. Benitez ha commesso un grave errore: quello di trovare una scala d’emergenza prima di capire e provare a spegnere l’incendio. Il problema del Napoli è un altro, non sono le notizie sgradite: la squadra fatica a crescere. Il problema di Benitez è un altro ancora: un palese disagio con il calcio italiano, ieri all’Inter oggi ancora di più a Napoli. Nel calcio di Rafa si dovrebbe costruire, con pazienza, con strutture e impianti all’avanguardia, come fece a Valencia, meglio ancora rispetto al Liverpool. In Italia e a Napoli non funziona così, questo è il calcio che brucia. E allora lui ha provato ad adeguarsi, con una sparata all’italiana, nella patria dove l’arroganza forse sta cercando di uscire (o fingendo di uscire) dalla politica, ma non dal pallone e dai suoi centri del potere. L’Italia del #selfie (o self) made man Lotito e del suo fedelissimo Tavecchio. Ci pensi Rafa e si ricreda, anche se è probabile che la sua avventura a Napoli sia a un passo dal capolinea. I giornalisti facciano (sempre) i bravi giornalisti e non i buoni tifosi. A Genova, la mia città, i sampdoriani (moltissimi) sono convinti che sia genoano; i genoani (molti) sono convinti che sia sampdoriano. Galliani, ad del Milan, quando il sottoscritto scriveva di Juventus per la Gazzetta, pensava fossi juventino. A Firenze (dove lavoravo sempre per la Gazzetta che dalle parti dell’Arno conta quasi come il Corriere dello Sport) venni sospettato di simpatie per l’Empoli. La verità è che ho smesso di fare il tifo per qualcuno che corre dietro a un pallone. Anzi, forse non sono mai stato davvero tifoso. Sono quasi vent’anni che guardo il calcio da vicino e ora forse sono riuscito a guardarlo dalla giusta distanza. Quando molti lettori e tifosi mi scrivono per criticarmi, attaccarmi (sì, spesso anche insultarmi, ma non è un problema) provo sempre a riflettere, voglio capire. Mi accusano di essere un tifoso nemico, solo perché non sono un tifoso. Molti aggiungono: “Quel che lei non capisce egregio (vabbè) Timossi è che per noi la nostra squadra è più importante di qualsiasi altra cosa della vita”. Ecco, per me no. Lo dico senza disprezzo, anzi rispettando un grande gioco che mi ha regalato moltissimo. Però per me il calcio dovrebbe essere sport, poi uno strumento per capire alcune delle cose delle vita. Ma ho altre priorità, insultatemi pure.
Giampiero Timossi (giornalista Il Secolo XIX)
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