
Non solo Koopmeiners: da Diego a Rush, i grandi flop stranieri della Juventus, quasi tutti brasiliani
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Ma finora, per svariati motivi (dai compiti richiesti dal nuovo allenatore alle caratteristiche di gioco della formazione bianconera) l’olandese classe 1998 non ha reso come tutti, la società torinese in primis, si aspettavano. Il suo apporto in zona gol è stato pressoché impalpabile in Champions League e si è limitato a 2 gol e 3 assist in campionato, più una rete in 2 presenze di Coppa Italia.
Non è la prima volta nella sua storia che la Vecchia Signora del calcio italiano “sbaglia” il grande colpo straniero: in alcuni casi il giocatore, effettivamente valido, è stato utilizzato a Torino in un ruolo non suo o con compiti tattici differenti che l’hanno portato a non dimostrare il suo effettivo potenziale, in altri invece il suo potenziale è stato sovrastimato.
Da Diego a Rush, vediamo quali sono stati i 10 errori più clamorosi compiuti dal club bianconero nel grande colpo straniero.
10) NENÉ OLINTO DE CARVALHO (1963)
Quello di Nené Olinto de Carvalho, per tutti semplicemente Nené, può essere a ragione definito come il padre di tutti i grandi flop sul mercato estero della Juventus. Il suo arrivo a Torino è infatti frutto di un grosso equivoco.
Tutto nasce nell’amichevole giocata il 26 giugno del 1963 fra i bianconeri di Enrique Omar Sivori e il Santos di Pelé. Per i piemontesi, nelle cui fila gioca in prova il centravanti francese Yvon Douis, molto referenziato, è la partita del rompete le righe della stagione 1962/63.
La Juventus vuole valutarlo per un possibile acquisto per la stagione precedente. Ma contrariamente alle aspettative, Douis non convince, nonostante la Juventus di Amaral vinca con un roboante 5-3 propiziato da una tripletta del “Cabezón”. Ad attirare l’attenzione della Vecchia Signora è però la prova di un giovane dalla pelle color ebano che milita nel Santos. Sulla schiena ha il numero 8, ha corsa e tecnica e duetta a meraviglia con Pelé.
Nené nel “Peixe” agisce da centravanti di manovra o rifinitore ed è solitamente la riserva di “O’Rei”. Boniperti, che smessi i panni del giocatore era diventato amministratore delegato, due anni prima si era sentito dire un netto “no” dal club brasiliano per il grande fuoriclasse, va a chiedere informazioni sul ragazzo.
"È la riserva di Pelé, ma rispetto a 'O Rei' è più centrocampista", lo avvertono. Assieme al tecnico Amaral, si convince comunque che possa svolgere anche in Italia il ruolo di centravanti di manovra, un po’ come faceva lui da giocatore. Così affonda il colpo, e vinte le ritrosie della famiglia del ragazzo, lo convince a sbarcare in Italia nell’estate 1963 per comporre un trio tutto brasiliano con Dino Da Costa e Del Sol.
Inizialmente però Nené, che non conosce la lingua, vive solo e fatica ad ambientarsi. Finché il portiere Carlo Mattrel decide di ospitarlo a casa sua e il giovane brasiliano sente un po’ di calore umano e conosce anche la sua futura moglie.
Amaral fa giocare la Juve con un 4-2-4 di stampo brasiliano, che prevede appunto Nené come centravanti di manovra accanto a Sivori. I risultati sono altalenanti, anche se il giovane sudamericano si sblocca e va a segno per tre gare di fila con Bari, Sampdoria e Fiorentina. La dirigenza, tuttavia, cui non piace il calcio troppo offensivo dell’allenatore, apre la crisi tecnica, lo esonera e chiama al suo posto Eraldo Monzeglio.
Anche con il nuovo allenatore Nené continua a far gol: doppietta alla Roma, gol che apre le danze nel derby di andata vinto per 3-0. In mezzo anche una rete all’esordio in Europa contro OFK Belgrado. In tutto il brasiliano firma 7 gol nelle prime 12 gare con la maglia della Juventus. Monzeglio però, dopo qualche settimana, opta per un cambio di modulo e il ritorno al calcio all’Italiana. A Nené viene così chiesto di fare da centravanti classico, un ruolo che non gli apparteneva.
Il brasiliano segna ancora un gol nel girone di andata nel 2-2 col Milan, gioca un ottimo derby d’Italia con l’Inter ma poi si perde e nel girone di ritorno realizza appena 4 reti. In tutto per lui saranno 12 gol in 35 presenze totali, 11 in 27 partite considerando la sola Serie A. Numeri di tutto rispetto ma che non basteranno al ragazzo di Santos, che pure aveva dimostrato capacità di adattarsi e duttilità, per guadagnarsi la conferma.
“Alla Juventus cercavano un centravanti; io non lo ero - dirà -. Per via delle mie lunghe leve ero molto veloce in progressione; prediligevo partire da lontano per poi, giunto sul fondo, crossare verso i compagni piazzati in area di rigore".
La Juventus, che dopo l’uscita nei quarti di Coppa delle Fiere con il Real Saragozza, nelle ultime 8 giornate cambia ancora tecnico, passando sotto la guida di Ercole Rabitti, conclude la stagione con un deludente 5° posto finale, a pari merito con la Fiorentina, ma con un quoziente reti sfavorevole, piazzamento che le varrà la qualificazione alla Coppa delle Fiere anche l’anno seguente.
Frettolosamente ceduto dopo una sola stagione a Torino, il brasiliano diventerà al Cagliari una leggenda della Serie A, disimpegnandosi prima da ala e poi da mezzala, e passerà alla storia come “il colpo sbagliato della Juventus”.
9) IAN RUSH (1987)
Dopo aver vinto tutto in Inghilterra con il Liverpool, dove è ormai un’istituzione, il centravanti gallese Ian Rush è ingaggiato dalla Juventus nell’estate 1986. La stella dei Reds vuole consacrarsi a livello planetario dimostrando il suo valore anche in Serie A, che in quegli anni è il campionato più bello e più difficile del Mondo.
Mentre tutto pensano ai Mondiali 1986 in Messico, il presidente bianconero Giampiero Boniperti, con la benedizione di Gianni Agnelli, lavora al grande colpo. L’affondo decisivo è piazzato al termine della finale di F.A. Cup 1986, che vede Rush grande protagonista contro i rivali dell’Everton.
I bianconeri devono infatti cercare di battere sul tempo il Barcellona di Terry Venables, che cerca di riproporre in blaugrana la coppia d’attacco del Galles Rush-Hughes. Nonostante una proposta economica importante, Rush tentenna. E Boniperti gli dà l’ultimatum: o accetti entro il 4 giugno o non se ne farà nulla.
La fumata bianca arriva il 3 giugno, quando il giocatore vola Torino.
"Sono andato per ufficializzare l’accordo, per vedere la città, l’avvocato Agnelli e i tifosi. - spiegherà il baffuto centravanti - È bastato quel blitz per far cadere le mie ultime perplessità".
Il 2 luglio 1986 Rush firma il contratto che lo legherà alla Juventus fino al 30 giugno 1990, dopo aver preteso che gli fosse integralmente tradotto in inglese. Il costo dell’operazione è di 3,2 milioni di sterline, pari a 7 miliardi di Lire, da pagare in due rate annuali. Il club bianconero lascia il giocatore in prestito ai Reds per un’altra stagione.
Boniperti si frega le mani, convinto del grande colpo, e Rush sogna di poter giocare con Michel Platini che gli sforna assist. Ma per entrambi le cose andranno in maniera ben diversa. “Le Roi”, infatti, si ritira dal calcio giocato alla fine della stagione 1986/87 e il presidente bianconero al posto del numero 10 francese decide di puntare sul giovane atalantino Moreno Magrin.
L’arrivo di Rush nell’estate 1987 deve colmare la partenza di Aldo Serena, ceduto all’Inter. Nonostante gli arrivi di giocatori come Antonio Careca e Marco Van Basten, i 207 goal in 331 partite totali con il Liverpool rendono il gallese il giocatore più atteso del campionato.
Con la benedizione di Boniperti, che preferisce che i giocatori mettano la testa a posto, il 3 luglio 1987 Rush sposa la fidanzata Tracey.
Per Ian garantisce il connazionale John Charles, che in bianconero aveva segnato oltre 100 goal vincendo 3 Scudetti e 2 Coppe Italia.
"Ian è più bravo di me e segnerà di più. – afferma quest’ultimo - Non esiste al mondo un cannoniere che conosca come lui l’arte di andare in rete".
Anche tv e giornali lo incoronano con appellativi come 'Messia', 'Stella', 'Profeta', e i tifosi si aspettano che i suoi goal rendano meno amaro l'addio di Platini. E lui non fa nulla per smettere di farli sognare.
“John Charles è stato l’unico attaccante britannico che ha sfondato in Italia. Altri bomber mai, hanno fallito tutti. Sapete perché? Segnare è un mestiere difficile. Bisogna saper soffrire. Charles ci riusciva. Io e lui abbiamo la stessa origine operaia”.
Persino Ruud Gullit lo incorona come star assoluta:
“È il migliore di tutti noi stranieri, - assicura - i gol che ha fatto in Inghilterra sono una garanzia".
Le premesse per stagioni da grande protagonista anche in Italia ci sono tutte, alimentate dai 10 gol in 6 partite segnati nel precampionato.
"Rush ha sorpreso anche me. - ammette il tecnico Rino Marchesi - È il modo in cui si muove , l’astuzia e la potenza con cui segna. Un fenomeno che rende tutto facile per il suo carattere docile”.
L’unico fuori dal coro è Mircea Lucescu, tecnico della Dinamo Bucarest. “Rush è un grande opportunista, ma non è adatto al calcio italiano. Alla Juventus corre un grande rischio”.
Avrà ragione lui. La squadra bianconera, priva di Platini, perde tanto in fantasia e inventiva, che Mauro e Laudrup garantiscono solo a sprazzi. Il nuovo arrivato Magrin, invece, è solo un onesto centrocampista.
Il risultato è che se al Liverpool Rush era il terminale offensivo di tutte le azioni, e poteva dimostrare la sua letalità in area di rigore, la Juventus di Marchesi è una squadra che gioca prevalentemente in contropiede, che crossa poco, e in cui per avere palloni giocabili è costretto ad arretrare il suo raggio d’azione.
I presagi sinistri si materializzano all’esordio in Coppa Italia, quando si procura un infortunio muscolare contro il Lecce e deve rimandare l’esordio in campionato alla 2ª giornata con il Como. Il suo rendimento sarà per lo più deludente, e il centravanti, che ha problemi nell’apprendimento dell’italiano, fatica a fare gruppo e viene un po’ messo da parte dal blocco storico della squadra.
In una stagione con poche soddisfazioni per i colori bianconeri, Rush chiude con soli 13 gol in 40 partite, di cui 7 in 29 partite in Serie A, 5 in Coppa Italia e 1 in Coppa Uefa. Si sveglia infatti tardi, in primavera, superati i problemi fisici che lo hanno a lungo condizionato, e le gioie principali che regala ai tifosi sono nei derby. Il 1° maggio risolve il Zona Cesarini la sfida di ritorno col Torino (2-1) e poi nello spareggio Uefa è decisivo nella lotteria dei rigori trasformando con freddezza il penalty del 4-2 finale per la Juve.
Ma di fronte ai capricci del bomber, che torna in Inghilterra, si prende la varicella e non risponde alla convocazione nel ritiro estivo di Buochs, Boniperti decide che può bastare e con ampio anticipo sul lungo contratto cede Rush nuovamente al Liverpool per 2,8 milioni di sterline, quasi 6 miliardi e mezzo di Lire.
Etichettato subito come grande flop, nel Liverpool il gallese tornerà a far gol con regolarità ancora per anni. E sull’esperienza italiana dirà:
“Quella in Italia è un’esperienza che consiglio a tutti. A me ha aiutato a maturare. Il mio unico errore è stato quello di non scegliere la squadra giusta. Pensavo che la Juve fosse il Liverpool d’Italia. Comunque ho segnato più goal di Völler...”.
8) OLEXANDER ZAVAROV (1988)
Oleksandr Zavarov, o Aleksandr, se si utilizza la grafia russa, era il giocatore di maggior talento dell'Unione Sovietica e della Dinamo Kiev di Valery Lobanovsky. L'uomo che sapeva “accendere” il calcio scientifico del “Colonnello” con le sue geometrie, gli assist al bacio per i compagni, i lanci precisi, le punizioni calibrate e i goal di pregevole fattura tecnica approda non senza sorpresa alla Juventus nell'estate 1988.
Di fatto Zavarov è la terza scelta su cui i piemontesi virano sfumati i due obiettivi principali, Lajos Detari ed Enzo Francescoli, pallino dell’Avvocato, e la sua firma arriva a ridosso del Ferragosto al termine di una lunga trattativa telefonica fra Giampiero Boniperti e Victor Galaev, funzionario del Dipartimento rapporti con l'estero del Comitato olimpico dell'URSS. La Vecchia signora paga 7 miliardi di vecchie Lire per il cartellino del giocatore, di cui 2 vanno al ministero dello Sport sovietico, 2 alla Dynamo Kiev e uno al Governo.
Il tutto a fronte di un ingaggio modesto, come capitava a tutti gli atleti sotto l’egida del Comunismo, formalmente dipendenti statali: 1200 dollari al mese, circa un milione e 650 mila Lire. Ma la Juventus gli garantisce anche dei buoni pasto per fare la spesa al supermercato, una FIAT Duna (di seconda mano) per girare per le vie di Torino e il pagamento delle spese scolastiche del figlio.
Dopo la fumata bianca si racconta che Anatoly Pogrebnoy, capo del Dipartimento rapporti con l'estero del governo sovietico, il suo funzionario Galaev e naturalmente Boniperti, festeggiarono con champagne e vodka. Al primo sovietico della Serie A viene assegnata la pesante etichetta di “erede di Platini”.
“Giocare in una squadra come la Juventus nel campionato più difficile che ci sia da un lato mi intimorisce, e dall’altro mi esalta. Paura? Direi proprio di no - dichiara -, anche se non posso nascondermi, le difficoltà le incontrerò tutte le domeniche. A Torino c’è chi mi vuole erede diretto di Platini e sostituire un fuoriclasse come lui è la cosa più difficile che possa capitare a un calciatore”.
L’8 settembre all’arrivo all’aeroporto di Caselle è accolto da circa 200 tifosi festanti.
"Con lui vogliamo vincere subito, il nostro non sarà un anno di transizione", chiosa Boniperti nel corso della presentazione del giocatore.
E anche Zavarov non si nasconde.
“Faremo tutti insieme il possibile per non deludere i tifosi - assicura -. Qui in Italia ci sono i migliori campioni del calcio mondiale, ma io non temo nessuno. Spero che la Juve possa dare spettacolo, senza mai perdere di vista i risultati. Ma lo dico qui per l'ultima volta: non sono Platini. Lui è stato grandissimo, però credo che presto comincerete ad apprezzare anche Zavarov".
Il tecnico Dino Zoff decide di schierarlo affidandogli la maglia numero 10 della squadra. Ma a dispetto del suo talento indiscutibile, mostrato a più riprese a livello internazionale con il suo club nella Coppa delle Coppe 1985/86, e in Nazionale nei Mondiali di Messico '86 e ad Euro '88, le difficoltà di ambientamento in un calcio molto diverso da quello cui era abituato, unite ad un carattere che tendeva a isolarsi e a non fare gruppo, ne determineranno il clamoroso flop in bianconero.
I primi problemi sono il ruolo di regista di centrocampo che gli affida Zoff, che Sasha sa fare ma non ama particolarmente, più abituato com’era in Unione Sovietica ad agire da finto nove o rifinitore avanzato, e la lingua italiana, ostacolo insormontabile per lui, che lo porta anche ad isolarsi dallo zoccolo duro italiano della squadra. Il debutto assoluto in Coppa Italia è disastroso.
Il 14 settembre 1988 al Comunale si gioca Juventus-Ascoli davanti a 30 mila tifosi venuti principalmente per vederlo in azione. Sasha segna, ma nella parte sbagliata, dato che è autore di una mortificante autorete nella propria porta. Il sovietico sembra un pesce fuor d’acqua e appena 4 minuti dopo Zoff lo sostituisce con Cabrini. La squadra perde 0-2 fra i fischi e sarà prematuramente eliminata fra i fischi degli spettatori.
In Coppa Italia firma comunque una doppietta con il Brescia, poi il 9 ottobre fa il suo esordio in Serie A. Ma la stagione sarà deludente: la Juve chiude 4ª distante dall’Inter campione ma anche da Milan e Napoli, Zavarov chiude un’annata incolore con 30 presenze e 2 gol in Serie A.
Confermato nel 1989/90, parte forte segnando reti decisive in Coppa Italia e facendo intravedere qualche lampo anche in campionato. Poi però arriva un periodo di appannamento. Sasha ritrova il gol a inizio gennaio, ma ha nuovamente un brusco calo di rendimento che lo porta a vivere da comprimario la seconda parte di stagione in cui la squadra di Zoff conquista le finali di Coppa Italia e Coppa UEFA.
Il primo sovietico della Serie A vince i due trofei da comprimario e segna in primavera in campionato i suoi ultimi gol juventini. L’ultima rete di Zavarov è datata 29 aprile al Via del Mare contro il Lecce (2-3 per i bianconeri). Un gol particolare quest’ultimo perché dopo la marcatura nessuno dei compagni lo va ad abbracciare.
Un bilancio di 9 gol e 4 assist in 41 gare non gli basta a convincere la società e in estate, con la rivoluzione societaria in arrivo, dopo sole 13 reti in 76 presenze complessive, saluta la Juventus per accasarsi ai francesi del Nancy e vivere una seconda parte di carriera in tono minore in Francia.
7) THIERRY HENRY (gen. 1999)
Dopo il grave infortunio al ginocchio di Alessandro Del Piero a Udine, la Juventus crolla in classifica in Serie A e il general manager Luciano Moggi prova a correre ai ripari nel mese di gennaio. A Torino approdano così dall’Espanyol l’attaccante argentino Juan Esnaider e la punta francese del Monaco Thierry Henry, campione del Mondo con la Francia nell’estate del 1998. Soprattutto il colpo Henry desta sensazione. Moggi riesce a strapparlo alla concorrenza dell’Arsenal con una trattativa lampo pagandolo con un prezzo di favore, 21 miliardi di vecchie Lire. Henry approda così subito in bianconero e i tifosi si aspettano da lui grandi cose.
Ma la situazione in campionato con Lippi alla guida precipita, e il francese fa in tempo a fare appena qualche comparsata da seconda punta nel 4-3-1-2 del tecnico viareggino prima che lo stesso rassegni le dimissioni dopo il pesante k.o. interno con il Parma a febbraio.
Al suo posto viene anticipato di qualche mese l’arrivo in panchina di Carlo Ancelotti. L’allenatore di Reggiolo decide di cambiare e adottare un 3-5-2. Per Henry trovare spazio diventa difficile ed ecco che al francese tocca adattarsi a giocare da esterno sulla fascia.
L’equivoco tattico è servito. Henry spostato sulla corsia laterale mette in mostra velocità e dribbling, ma è spesso inconcludente, perché arriva poco al tiro e in fase di non possesso è poco utile alla squadra. Dirà il giocatore:
“Mi hanno messo sulla fascia. Quando eravamo in fase difensiva, mi trovavo in difesa. In attacco invece dovevo fare la terza punta. Era tutto nuovo per me. Ho giocato quasi tutte le partite senza capire bene il ruolo”.
Lo stesso Ancelotti anni dopo ammetterà:
“Non mi resi conto che Thierry Henry non era un’ala. Non pensavo che potesse giocare centralmente, non mi ha mai detto che ne fosse capace”.
“Tittì” è taciturno e comunica poco, forse anche questo segna il flop della sua esperienza a Torino. Anche se negli ultimi mesi lascia intravedere il suo grande talento: contro la Roma il 21 marzo al Delle Alpi manda in tilt un certo Cafu, poi il 17 aprile timbra la vittoria esterna sulla Lazio con una doppietta all’Olimpico (complice una papera di Marchegiani), infine nell’ultima gara dell’anno in casa contro il Venezia, mette insieme un gol e 2 assist nel 3-2 dei bianconeri.
La stagione per i bianconeri è molto deludente: persa la Supercoppa Italiana in estate con la Lazio, c’è un 7° posto in campionato, con le Coppe possibili solo attraverso l’Intertoto, e la squadra va fuori ai quarti di Coppa Italia per mano del Bologna e viene eliminata in semifinale di Champions, competizione che Henry non può fare avendola già disputata col Monaco, ad opera del Manchester United di Ferguson.
Inizialmente confermato per la stagione successiva, dopo una sola apparizione in Coppa Intertoto, il francese viene venduto all’Arsenal per 10 miliardi. La decisione sarebbe stata di Moggi, entrato in contrasto netto con lui dopo il rifiuto del giocatore ad accettare la destinazione Udinese, club da cui i bianconeri volevano prelevare Marcio Amoroso.
“Stai perdendo tempo a giocare sull’ala - gli dice Wenger in una telefonata -, tu sei un numero nove”.
In Henry scatta la scintilla e si concretizza il trasferimento ai Gunners. Sarà il legame di maggior successo fra un calciatore e il club londinese e il maggior rimpianto degli ultimi 40 anni di storia della Juventus.
6) SUNDAY OLISEH (1999)
Andando a ritroso nel tempo nello scorso millennio, un altro grande nome che a Torino ha fatto flop è quello del nigeriano Sunday Oliseh, il primo calciatore africano della storia della Juventus. La rivoluzione tecnica, con l’approdo sulla panchina della Vecchia Signora e l’addio di Carlo Ancelotti, impone la ricerca di un erede di Deschamps.
Il general manager Luciano Moggi lo trova appunto in Oliseh, che qualche anno prima era stato protagonista della Nigeria a USA ’94 (eliminata agli ottavi dall’Italia) e aveva lasciato intravedere buone cose in Serie A con la Reggiana prima di esplodere a livello internazionale vincendo le Olimpiadi di Atlanta 1996 in Nazionale e affermandosi con l’Ajax, dove aveva preso il posto di una leggenda come Rijkaard.
Roma e Juventus danno vita ad un duello serrato sul calciomercato per assicurarselo, alla fine, forse per un accordo raggiunto col calciatore, la spuntano i bianconeri, che versano ai lancieri 21 miliardi di vecchie Lire.
Il nigeriano parte bene, dando un contributo importante per vincere la Coppa Intertoto, ma poi si perde e disputa appena 19 gare complessive, di cui solo 8 in campionato, nella stagione che culmina per i bianconeri con la beffa del Curi contro il Perugia. Presto finisce indietro a Davids, Conte, Tacchinardi e Maresca nelle gerarchie di Ancelotti e sarà ricordato come una clamorosa meteora della storia bianconera.
“Presi Oliseh dall’Ajax e sembrava dovesse spaccare il mondo - dirà a ‘Radio Kiss Kiss’ Luciano Moggi - in realtà non fece bene. Nelle grandi squadre bisogna stare attenti anche alla personalità. Maresca, per esempio, non era un grande giocatore, ma aveva la voglia di dimostrare di meritare una big del calcio italiano”.
Ceduto nel 2000 al Borussia Dortmund, Oliseh tornerà ad esprimersi ad alti livelli e a vincere trofei.
5) TIAGO MENDES (2007)
Avrebbe dovuto diventare il perno del centrocampo della nuova Juventus, appena tornata in Serie A, ma il promettente portoghese Tiago Mendes, arrivato a Torino nell’estate 2007 a titolo definitivo, e costato ben 14 milioni di euro versati nelle casse dell’Olympique Lione, sarà ricordato come uno dei flop più clamorosi del mercato bianconero. Nei piani del club piemontese il centrocampista lusitano avrebbe dovuto essere uno degli innesti più importanti.
"Dalla Juventus si possono aspettare solamente delle cose buone - dichiara il giorno della presentazione, cui si presenta con una sobria camicia bianca, contrariamente all’altro acquisto, Almiron - nonostante il club provenga dalla serie B penso che si prospetti un anno molto importante. È una società che ha insistito molto affinché approdassi in Italia, è stata molto più incisiva delle altre società che mi volevano e per questo ho scelto di affrontare questa nuova avventura".
In Francia Tiago si era guadagnato il soprannome di “Lavatrice”, per la sua capacità di ripulire i palloni sporchi e di impostare l’azione dal basso. Le aspettative sono dunque molto alte per il ventiseienne, che tuttavia, nel 4-4-2 di Ranieri, finisce per perdersi, tanto che il tecnico romano finisce per preferirgli spesso Cristiano Zanetti.
La stagione 2007/08 è così deludente, con 23 presenze, di cui poche da titolare, la maggior parte con un rendimento insufficiente. Nell’estate 2008 molti lo danno in partenza, ma Tiago per orgoglio decide di restare e comincia la nuova stagione con piglio diverso. Si mette in evidenza in campionato con la Roma e in Champions contro il Real Madrid.
Ma a novembre nel derby d’Italia si fa male al ginocchio e deve star fermo oltre due mesi. Rientra l’8 febbraio e fornisce buone prestazioni, finendo poi per giocare da titolare accanto a Marchisio quando si infortunano Cristiano Zanetti e Sissoko. In tutto le presenze sono però solo 20 senza reti.
Tutti si aspettano il salto di qualità nel 2009/10, con l’arrivo di Ciro Ferrara in panchina e il cambio di modulo, che si trasforma in un 4-3-1-2/4-2-3-1 più congeniale per le caratteristiche del giocatore portoghese. Arrivano invece prestazioni nuovamente sottotono e tanti errori, che dopo 10 gare, determinano il flop definitivo e la cessione nel gennaio 2010 in prestito gratuito con diritto di riscatto all’Atletico Madrid.
Tiago sarà poi ceduto in estate in prestito oneroso ai Colchoneros, dove riprenderà a giocare ad alti livelli. Gli spagnoli però non esercitano il riscatto e soltanto il 19 luglio 2011 una risoluzione consensuale pone fine al contratto con la Juventus.
“È stato il punto più basso della mia carriera”, sarà il commento laconico del centrocampista portoghese quando gli chiederanno della sua esperienza bianconera.
4) AMAURI (2008)
Un anno prima di Diego e Felipe Melo, la Juventus, che cerca di tornare ai vertici dopo il terremoto di Calciopoli, punta sul centravanti italo-brasiliano del Palermo, Amauri. Zamparini, presidente dei rosanero, non è però un cliente facile e i bianconeri devono sborsare circa 23 milioni di euro cash per assicurarsi le prestazioni dell’attaccante che nel 2007/08 ha realizzato 15 gol in 34 presenze di Serie A con i siciliani.
L’attaccante, classe 1980, sceglie la maglia numero 8 e fa il suo debutto il 13 agosto 2008 nel terzo turno preliminare di Champions League contro l’Armedia Bratislava. I bianconeri vincono facilmente 4-0 e nel match di ritorno in Slovacchia Amauri scrive per la prima volta il suo nome a referto con la nuova maglia fissando il punteggio sull’1-1. In campionato timbra per la prima volta il cartellino firmando in casa il gol vittoria contro l’Udinese (1-0) il 14 settembre.
La sua prima stagione all’ombra della Mole è tutto sommato positiva, con un bilancio di 14 gol in 44 presenze (12 in campionato e 2 in Champions League). I bianconeri di Ranieri prima e Ferrara poi chiudono al 2° posto in Serie A, qualificandosi alla fase a gironi di Champions, ed escono in semifinale in Coppa Italia, eliminati dalla Lazio, e agli ottavi di Champions ad opera del Chelsea.
Sembrano esserci le premesse della nascita di un binomio vincente calciatore-squadra, ma non sarà così. La seconda stagione, il 2009/10, con in squadra Felipe Melo e Diego, in cui eredita la maglia numero 11 di Nedved, è però piuttosto negativa. Appena 7 reti in 40 presenze totali non bastano a frenare le critiche di tifosi e stampa. In primavera la bella notizia è l’acquisizione della cittadinanza italiana per naturalizzazione.
Nell’estate del 2010 a Torino è tempo di rivoluzione: alla guida della Juventus approda Andrea Agnelli, che porta con sé Beppe Marotta e Fabio Paratici. In panchina viene scelto Gigi Delneri. Amauri è determinato a riscattarsi e parte forte con 3 reti nei preliminari di Champions, ma la sua stagione non sarà fortunata.
Complici una serie di infortuni, fra cui uno grave al ginocchio sinistro nel mese di novembre, che lo tiene lontano dai campi per circa 2 mesi, non segnerà più. Quando torna fatica a rendere ai suoi livelli. Il 25 gennaio 2011 Juventus-Roma 0-2 di Coppa Italia sarà la sua ultima partita con la maglia bianconera.
Il 31 gennaio 2011, ultimo giorno della sessione invernale di calciomercato, è ceduto in prestito al Parma, club che lo aveva tesserato 10 anni prima, fino al termine della stagione. Dopo aver dato un apporto importante alla salvezza dei ducali, Amauri torna a Torino in estate, ma ormai per lui nella Juventus non c’è più spazio. Il nuovo tecnico Antonio Conte intende puntare su altri nomi.
L’italo-brasiliano entra in conflitto con il tecnico salentino, è messo sul mercato e trascorre sei mesi fuori rosa nella squadra futura campione d’Italia. Il 24 gennaio 2012 si concretizza la sua cessione a titolo definitivo per appena 500 mila euro alla Fiorentina. La sua esperienza in bianconero si chiude con molta amarezza e 24 gol e 6 assist in 100 presenze.
“ll problema della Juve sembrava che fossi solo io. Eppure credo di essermi comportato sempre benissimo: mai una parola fuori luogo, mai una polemica verso nessuno - dirà qualche anno dopo il giocatore a ‘La Gazzetta dello Sport’ - . Ho la coscienza a posto. Qual è stata la cosa che mia ha fatto più soffrire? Di non giocare ci sta. Ma la cosa che mi ha fatto più male è stata non avere neppure una possibilità. Stava iniziando un nuovo corso, con un nuovo allenatore, e non mi è mai stata data una chance per farne parte, per far vedere quello che so fare”.
3) FELIPE MELO (2009)
Nell’estate 2009 la Juventus punta tanto sui brasiliani e oltre a Diego preleva sul calciomercato dalla Fiorentina il mediano Felipe Melo. Nelle casse dei viola vanno 25 milioni di Euro più, come parziale contropartita, il cartellino di Marco Marchionni, valutato 4 milioni e mezzo.
L’impatto dell’ex viola sembra devastante: l’esordio ufficiale è datato infatti 30 agosto 2009. Felipe Melo, assieme a Diego, è autore di una prova maiuscola, condita dal gol dell’1-3 finale. Sembra l’inizio di una storia d’amore con i colori bianconeri, invece, complice il carattere fumantino e impulsivo e la scarsa capacità di autocontrollo in campo, sarà come per il suo connazionale soltanto una grande illusione.
In due stagioni sotto l’ombra della Mole il centrocampista, che indossa la maglia numero 4, totalizza 78 presenze e 4 reti in gare ufficiali, ma sarà ricordato soprattutto per i frequenti scontri con la stampa e i tifosi juventini e per i 25 cartellini gialli presi e le tre espulsioni rimediate. Di queste una è per rosso diretto: durante Juventus-Parma (1-4) del 6 gennaio 2011, assesta un calcio all'avversario Massimo Paci. Sarà espulso e fermato per tre giornate.
Nel luglio 2011 il suo addio è segnato: il brasiliano è ceduto in prestito oneroso al Galatasaray con diritto di riscatto. Dopo due stagioni in prestito in Turchia e diversi successi, nell’estate 2013 torna per un periodo alla Juventus, in quanto il Galatasaray non esercita l’opzione di riscatto, fissata a 6 milioni e mezzo, salvo poi acquistarlo a titolo definitivo per 3,75 milioni di euro, con bonus di mezzo milione a seguito del raggiungimento di determinati obiettivi.
“Quando la Juve mi ha poi ceduto in prestito sarei potuto andare al PSG, avevo già parlato con Leonardo ed era tutto fatto ma poi è arrivato il Galatasaray - dirà -. Quella è stata la decisione più difficile presa, perché là ho vissuto una esperienza totalmente diversa da quella che avrei potuto vivere altrove".
2) DIEGO RIBAS DA CUNHA (2009)
Fra i flop più clamorosi sul calciomercato della storia recente della Juventus c’è senza dubbio l’acquisto del fantasista brasiliano Diego Ribas Da Cunha nell’estate 2009. La Vecchia Signora mette gli occhi sull’ex stellina del Santos e per assicurarsi il giocatore non bada a spese. L’amministratore delegato Jean Claude Blanc e il Direttore sportivo Alessio Secco si presentano dal Werder Brema con un assegno da 25 milioni di euro.
Diego approda così a Torino come uno dei colpi dell’estate.
“Diego è un giocatore fondamentale per il rafforzamento della squadra – assicura Blanc -. Abbiamo sempre detto che il nostro obiettivo è mettere insieme giovani e campioni e Diego sintetizza entrambe queste identità: malgrado abbia solo 24 anni, infatti, è un calciatore di grande esperienza, con oltre 7 anni da professionista ad alti livelli. Sono certo che il suo contributo sarà importante per continuare a far crescere la Juventus e per fare un ulteriore passo in avanti, in vista dei prossimi obiettivi”.
“Diego è un giocatore unico – sottolinea anche Alessio Secco – e per portarlo alla Juventus abbiamo dovuto competere con alcune tra le maggiori squadre europee. Il suo acquisto aumenta il potenziale della squadra e permetterà di sperimentare moduli di gioco diversi. Inoltre sarà un’arma in più per affrontare la prossima Champions League”.
Il brasiliano sceglie la maglia numero 28, lasciando la 10 al capitano Alex Del Piero. E l’inizio della sua avventura bianconera sembra dar ragione alla società: al debutto in serie A all’Olimpico di Torino sforna l’assist vincente su punizione per la rete di Iaquinta che consente di battere il Chievo di misura (1-0).
Ma il suo canto del cigno arriva il pomeriggio del 30 agosto 2009 allo Stadio Olimpico di Roma. Impiegato dal tecnico Ferrara come trequartista dietro le punte Amauri e Iaquinta, Diego dà spettacolo, contribuendo con una doppietta da favola al successo esterno dei bianconeri per 1-3 sulla Roma.
Per lui si scomoda persino una leggenda come Platini.
“Se Diego mi somiglia? Dal nome direi più a Maradona – lo esalta il francese –. Lui e gli altri acquisti bianconeri sono davvero importanti. È il giocatore più completo e forte capitato alla Juventus da un sacco di anni. Finalmente. Basta con quei giocatori da mondiali d’atletica”.
Con cotanta incoronazione sembra l’inizio di una grande storia d’amore fra il brasiliano e la Vecchia Signora, invece sarà solo una grande illusione. La squadra inizia ad alternare vittorie roboanti a sconfitte clamorose, e presto Diego perde il sorriso e smette di incidere. Il suo modo di intendere il calcio indispettisce i tifosi, che iniziano a contestarlo.
Il punto di non ritorno è il rigore calciato alle stelle a Bari a metà dicembre del 2009. Sul risultato di 2-1 per i pugliesi, l’arbitro assegna la massima punizione ai bianconeri, ma il brasiliano, forse disturbato da un raggio laser, lo fallisce clamorosamente.
Ferrara prova a rincuorarlo:
“Dobbiamo stargli vicino - dichiara a fine gara -. Diego è uno straniero che sta incontrando difficoltà come tanti”.
I risultati negativi della squadra portano la Juventus a cambiare allenatore un mesetto dopo. L’arrivo di Zaccheroni e delle sue idee tattiche (con Diego defilato sulla fascia “alla Leonardo”) faranno precipitare le cose per il fantasista nella seconda parte di annata.
La stagione della squadra bianconera, già fuori precocemente dalla Champions, si chiude con un’eliminazione ai quarti di finale di Coppa Italia ad opera dell’Inter, seguita da quella umiliante in Europa League per mano degli inglesi del Fulham, e con un deludente 7° posto finale in Serie A, che vale comunque l’accesso ai preliminari di Europa League nella stagione successiva.
Diego chiude con 44 presenze e 7 gol (5 in campionato, 2 in Coppa Italia) quella che, nonostante i suoi 18 assist (11 in Serie A) è un’annata no, anche considerando il sacrificio economico del club. In estate l’arrivo in panchina di Gigi Delneri segna il suo inevitabile addio, dopo 3 ulteriori presenze nei preliminari di Europa League.
Il brasiliano torna così al Werder Brema per 15 milioni di euro. Per rivederlo ai suoi livelli bisognerà attendere però sei anni e il ritorno in patria in forza al Flamengo. Il suo acquisto resta nella storia della Juventus come uno dei più grandi flop recenti sul calciomercato estero:
“Alla Juventus ho pagato io per tutti - dirà Diego nel 2014 al portale brasiliano 'LANCE!Net' - Io ero l'acquisto principale e per questo motivo avevo maggiori responsabilità rispetto ad altri. Era la Juve di Diego, anche per quanto ero costato. Ho giocato parecchio e non stavo facendo male, ma mancavano i risultati e allora si tirava in ballo l'investimento fatto per prendermi”.
1) HERNANES (2015-feb. 2017)
Acquistato a sorpresa dal club bianconero nell’estate 2015, Hernanes arriva a Torino a 30 compiuti, nel pieno della maturità calcistica, reduce da una stagione negativa a Milano con la maglia dell’Inter dopo aver incantato invece nei tre anni e mezzo a Roma con la Lazio (41 gol in 156 presenze in gare ufficiali) e nel primo anno e mezzo in nerazzurro.
La Vecchia Signora sborsa 11 milioni di euro pagabili in tre anni, più ulteriori 2 milioni di bonus, per strappare “Il Profeta”, come viene soprannominato, ai rivali. La Juventus è convinta di poterlo rilanciare, ma così non sarà. Il brasiliano, in grado di ricoprire più ruoli in mezzo al campo, viene subito preso di mira dai tifosi per il suo scarso dinamismo, e ben presto retrocede nelle gerarchie del tecnico Massimiliano Allegri.
In bianconero vince comunque uno Scudetto e una Coppa Italia, ma il suo apporto alla causa, complici anche diversi infortuni, sarà molto marginale (35 presenze e 2 gol totali). Proprio la conquista della Coppa Italia contro il Milan ai supplementari (1-0), partita che lo vede giocare titolare, resterà uno dei ricordi più belli dell’avventura torinese.
Quest’ultima per il brasiliano si chiude dopo appena un anno e mezzo nel febbraio 2017, quando viene ceduto ai cinesi dell’Hebei China Fortune per 8 milioni di euro più 2 di bonus. Il prosieguo della sua carriera dimostrerà che “Il Profeta” aveva ormai intrapreso la parabola discendente della sua carriera.
Anche se il brasiliano ricorderà sempre con affetto al suo periodo bianconero:
“Per me è stato bello perché avevo il sogno di giocare la Champions – dirà nel 2022 a Juventusnews24 -. Abbiamo vinto Scudetto e Coppa Italia, e ho giocato da titolare la finale con il Milan. Sono cresciuto molto come giocatore, perché Allegri mi ha messo in un ruolo che non avevo mai fatto e ho dovuto imparare”.
“La prima partita è stata bellissima, poi ho dovuto fare dei passi indietro perché avevo una mentalità troppo offensiva per giocare nella nuova posizione. Mi sono dovuto adattare e imparare a giocare da regista. All’inizio ho sofferto un po’, poi ho preso i giri giusti e mi è piaciuto tanto perché mi ha fatto crescere come giocatore e come conoscenza del calcio. A livello di maturazione personale, di ambiente e di vittorie è stato per me un periodo positivo”.