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    Non esiste una Juve da capolavoro, preferisco il Milan di Sacchi

    Non esiste una Juve da capolavoro, preferisco il Milan di Sacchi

    • Marco Bernardini
    ll tema è intrigante. Il dibattito è aperto. Qual è la Juventus più bella dal dopoguerra a oggi? Domanda imbarazzante  per la quale ritengo azzardato dare una risposta differente da questa: tutte e nessuna. E non si tratta, credetemi, di un sofisma pirandelliano. Una certa banalità potrebbe trovare comodo rifugio nella classica frase usata di  solito dai protagonisti della domenica i quali, a giochi conclusi, affermano che il più del successo ottenuto “è sempre l’ultimo”. Francamente ho mai capito perché. Come se, nel dichiarare altrimenti,  temessero di offendere qualcuno o di sminuire il valore di esperienze precedenti. Preferisco  fare riferimento ad un antico detto dei nostri vecchi secondo il quale “ è bello ciò che piace”.

    Qui entra in gioco il concetto di bellezza in quanto categoria universale oppure soggettiva. Ciascun prodotto dell’ingegno umano, specialmente se originale, possiede le caratteristiche ideali per essere apprezzato. L’arte in particolare, poi, è addirittura sinonimo di bellezza. Un dipinto, una statua, una sinfonia, una canzone, un film, le pagine di un libro e persino un “piatto” cucinato in un certo modo e dunque anche un particolare gesto atletico. Il ventaglio utile alla ricerca, come si vede, è ampio. Un oceano nel quale è possibile smarrirsi ma dove non è necessario possedere tutti il medesimo metro di valutazione. Oltre alle questioni tecniche e specialistiche che competono i critici di professione, sono convinto che a sostenere la validità di un “è bello, mi piace., mi fa godere” vi sia (oltre ad un certo gusto e una buona sensibilità) l’istinto che supera ogni barriera preconfezionata. 

    Posso essere vittima della sindrome di Stendhal davanti a un Magritte e rimanere indifferente a fronte di un Picasso. Posso commuovermi ascoltando un’aria di Puccini e non lasciarmi sedurre da un crescendo di Rossini. Posso adorare Woody Allen e addormentarmi guardando Tarantino. Posso godere per un tocco di Dybala e ignorare una “bomba” di Marchisio.  E viceversa. A ciascuno il diritto di una propria reazione. Salvo in caso di capolavoro, naturalmente: la Pietà o il Giudizio Universale di Michelangelo, il versetto conclusivo sull’Amore del Paradiso dantesco, il rivoluzionario lessico manzoniano dei Promessi Sposi, il “pavone”  e la neve dell’amarcord  felliniano, le musiche da un altro mondo di Morricone, il gol di Maradona all’Inghilterra. Rarità universali, chapeau!

    Torniamo a tana. Alla Juventus la quale, ripeto anche da antico tifoso oltreché da giornalista anziano, proprio non riesco ad agganciare al termine capolavoro e, se più vi piace, grande bellezza senza età e fuori dal tempo. Non quella di Charles e Sivori, attrezzata più che altro “felice”per sottolineare la rinascita del dopoguerra.  Non quella di Anastasi e Furino, strumentale per l’integrazione del “terrone” nella difficile realtà torinese. Non quella del Trap, tanto vincente quanto sparagnina. Non quella di Lippi, collezionista di trofei grazie alla sua muscolarità. Non quella di Capello, tanto scudettata ma equivoca e poco simpatica. Non quella di Deschamp, risorta umile operaia. Non quella di Conte, travolgente ma arrogante. Non quella di Allegri, figlia di astuzie scacchistiche e di innesti da laboratorio. Tutte belle, ribadisco, e degne della passione tifosa . Capolavoro no.

    In realtà, rivisitando ciascuna puntata del grande film sul calcio moderno e contemporaneo italiano, oltre a quello rappresentato dal Torino di Superga riesco a trovare un solo soggetto calcistico che possiede tutte le caratteristiche giuste per meritare l’investitura della grande bellezza. Sprazzi di illusione, in tal senso, arrivarono dalla Roma di Eriksson e dalla Fiorentina di De Sisti e, nel suo picco, da Vicenza di Gibì Fabbri. Ma furono lampi a intermittenza. Il Milan di Arrigo Sacchi, invece, per un periodo di  tempo piuttosto consistente combaciò perfettamente con l’idea del calcio capolavoro che altri (in Olanda, in Spagna e in Brasile) riuscivano a realizzare. Se il merito andasse ascritto al tecnico di Fusignano piuttosto che alla sua banda di “solisti” praticamente “unici” è un teorema che non mi sento di affrontare. Ogni parere è buono. Così è, se vi pare. E questo è proprio Pirandello.
     

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