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Non chiamatelo più Special One
L'addio di Mourinho non può stupire più di tanto. Era solo una questione di tempo, prima o poi la bocciatura definitiva (che resta tale, anche se il comunicato parla di rescissione consensuale e non di esonero) sarebbe arrivata. La sconfitta contro il Leicester City (per mano di Ranieri, uno dei suoi più grandi nemici) è stata solo la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, l'ultima figuraccia di un Chelsea che, con lui al timone, non avrebbe fatto molto strada. La qualificazione agli ottavi di Champions League non può essere sufficiente, i numeri del vate portoghese in questa stagione sono da mani nei capelli: fuori dalla Coppa di Lega per mano dello Stoke e, in Premier League, sedicesimo posto in classifica a più uno sulla zona retrocessione, con nove sconfitte su sedici match e 26 gol subiti.
Mourinho non è più speciale, non è più lo Special One. Una sentenza che non è legata esclusivamente ai risultati scadenti di questa stagione. Anche i più grandi vivono di alti e bassi, a fallire non è stato l'allenatore ma la persona e la sua filosofia, il 'mourinhismo'. Un tecnico che ha sempre creduto nel concetto di squadra, di gruppo, di spirito di sacrificio. Che si è sempre messo a capo della sua truppa, l'ha difesa a spada tratta contro tutto e contro tutti, ha sfidato il rumore dei nemici. Una guida rispettata e stimata dai suoi giocatori, l'espressione calcistica del semper fidelis. Il Mourinho del Real Madrid e quello del Chelsea è un uomo solo, che ha spaccato lo spogliatoio, che ha messo se stesso davanti a tutti, che ha giocato (e perso) le sue battaglie. Un grande allenatore vittima del suo narcisismo, del suo "tu non sai chi sono io". Mourinho non è finito, sia chiaro, tornerà a scrivere pagine importanti di questo sport. Ma per il momento chiamatelo solo Normal One. Once Special.
Federico Zanon
@Fedezanon15