Noi della 'generazione Pierino Prati': i gol nei derby e quei capelli alla Batistuta ante litteram
Pierino aveva i capelli da bomber. Il sorriso da bomber. Il tiro in porta da bomber e qui all'Olimpico ridefinì in concetto di elevazione e colpo di testa. E uno così, da queste parti, chi l'aveva visto mai? In quegli anni, i centravanti della Roma si chiamavano Musiello, Mujesan, il povero Petrini e Cappellini. Buoni giocatori e mestieranti. Poi arrivò Liedholm e tutto cambiò. Anche se Pierino qui a Roma lo portò, se non sbaglio, Scopigno il filosofo. I gol decisivi nei derby sono la testimonianza inscalfibile di Pierino. Su tutti, quello a un quarto d'ora dalla fine in quello di ritorno. 23 marzo 1975. Lo ricordo come se fosse ora. Ero allo stadio in tribuna Tevere con mio padre e raramente ho rivissuto una gioia così implosiva prima ed esplosiva poi. Il cross di Peccenini e lì dalla tribuna lo vedo arrivare come un treno sul secondo palo. Pioveva a dirotto, un diluvio. La rete che si gonfia sgrullando via l'acqua e non capii più nulla. Lui correva verso la curva, noi impazzivamo dalla gioia. Il Messaggero titolò “Roma, derby e sorpasso”, perchè quel giorno la Roma scavalcò la Lazio. Cercatelo su Youtube quel gol, bellissimo, prezioso, simbolo di una Roma che divenne di alta classifica. Un fatto sconosciuto per le nostre generazioni. Perchè prima di quella Roma lì e fino alla Roma di Dino Viola, salvarsi con un certo anticipo era la norma, pur con qualche escursione un pochino più su.
Noi, i ragazzini della 'generazione Pierino Prati', non avevamo mai visto un centravanti così forte. Pensa te, eravamo abituati ad attaccanti da cinque-sei gol a stagione. Quell'anno Pierino ne fece 14, come Clerici e Chinaglia, uno in meno di mister due miliardi Beppe Savoldi e quattro in meno di Paolo Pulici, re dei bomber con 18 reti. E' per questo che tutto quello che facevamo era Pierino Prati. Giocavamo a pallone cercando il gol di testa come Pierino. Tiravamo rasoterra come Pierino. Pure i capelli li volevamo come ce li aveva lui e il massimo era quando pioveva e diventavano più lunghi e ribelli, un po' da Batistuta ante litteram. Quando si giocava a pallone in strada, tra le auto e le macchine parcheggiate erano le porte, uno dei giochi preferiti era far crossare qualcuno per schiacciarla di testa in porta alla Pierino Prati, esultando come lui e correndo con le gambe arcuate.
Ora, Pierino se n'è andato. E ho letto con rabbia le dichiarazioni di Loris Boni, guerriero biondo di una Roma che non si può dimenticare e così lontana da quella di oggi, così triste, contestata, piena di debiti e delusione della gente. Boni dice che è stato abbandonato dalla famiglia _ non dal figlio, unico ad occuparsene _ e che “Non è morto per chissà quale male, è morto perchè si è lasciato andare”. Il dolore, leggendo questa cosa, s'è fatto più intenso, acuto, per me e, credo, per tutti noi ragazzini della generazione Pierino Prati.