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Niang: 'Sogno di giocare in Premier. Non vedo un Milan senza Galliani'
Curiosa intervista alla Gazzetta dello Sport per l'attaccante francese del Milan M'Baye Niang, che ha affrontato diversi temi sull'attualità rossonera, a partire dal rapporto con Vincenzo Montella, l'allenatore che sta puntando fortemente su di lui in questo avvio di stagione: "Dumas, il mio allenatore al Caen, mi ha insegnato a non avere paura in campo; Allegri mi ha spiegato l’importanza della tattica; Gasperini mi ha rilanciato; Mihajlovic mi voleva già al Torino, lui è simile a Montella. Ecco, con il mister ho un feeling a pelle perché mi ha fatto sentire che mi vuole, dal primo giorno. Mi ha messo al centro del suo progetto: mi parla se ho bisogno o se sbaglio, si interessa a me. Prova affetto per me, vorrei dire. Ci siamo detti cosa ci aspettavamo l’uno dall’altro e continuiamo a farlo. E non è vero che il suo calcio è cambiato rispetto a Firenze: ha solo adattato il suo possesso palla ai giocatori che ha".
Sui peccati di gioventù commessi fuori dal campo: "Tanti, non passava mese senza che ne facessi una. Ma la peggiore è stata l’incidente in macchina, a febbraio: quella che mi ha fatto dire basta". Sul tuffo in piscina dal balcone: "Ma lì per lì quella per me non era una mattata: l’ho capito dopo. Una inedita? Non esiste e sa perché? C’è chi ne fa un sacco e non se ne sa mai nulla, invece le mie si sanno tutte: o sono sfigato, o le nascondo male. Anzi, invece di nasconderle pubblico un video... Ma “basta così” l’ho promesso a me stesso. E se l’ho fatto è perché so di poter mantenere".
Sul suo prossimo obiettivo: "Il sogno rinviato, mi faccia pensare... Vincere il Pallone d’Oro». Fuochino. «Vincere la Champions». Fuochino. «Boh...». «Ah, la nazionale! Ma quella sarebbe una conseguenza. Certo che è solo rinviato, ci sarei già se non fossi scappato dal ritiro dell’Under 21 per andare in discoteca: ce l’avevo lì, a un passo. Ora credo di aver pagato il conto: gioco, dunque spero che Deschamps mi chiamerà. Abbiamo parlato, so che mi segue, aspetta di capire se davvero sono cambiato. Di sicuro non ho mai pensato al Senegal, forse si disse perché non mi chiamava la Francia: ma io mi sento francese, la mia nazionale è quella".
Sulla sua posizione in campo: "Io centravanti lo sarò sempre, perché sono nato così nelle giovanili. Poi in Italia ho fatto subito l’esterno - destro al Milan, sinistro al Genoa - e non è stato facile: riavvicinato alla porta da seconda punta, ero felice come un bambino. Ma sono felice pure adesso, mica faccio più l’esterno da quinto: difendo ma un po’ meno, e così ho più forza per attaccare. E comunque dove giochi, giochi: certe cose non le dimentichi, centravanti lo sei dentro. Anche se sbagli certi gol davanti alla porta come ho fatto contro la Lazio...".
Sul razzismo: "L’ho detto e lo ridico: il razzismo può esistere solo nel mondo degli stupidi. Purtroppo però per fare un mondo ci vuole un po’ di tutto: anche gli stupidi. E gli infelici, perché chi va negli stadi per ululare ai neri o è infelice, o non ha nulla da fare. Il brutto è che si può solo far finta di niente e andare avanti, altrimenti ti fai male da solo. Per questo che se un giorno insulteranno me - finora mai successo, né in campo né fuori - io non abbandonerò mai una partita. Se decide l’arbitro lo rispetto, ma non sarà mai una mia decisione. Ai razzisti puoi fare male solo in campo, con la forza dei tuoi gol: se esci dal campo, hanno vinto loro".
Sul palo di Barcellona e il suo rapporto con Dio: "Certo che mi ricordo chi aveva deciso che fosse palo: Dio. Se Barcellona-Milan si rigioca domani, magari stavolta sceglie che il mio tiro dopo aver picchiato lì vada dentro. E magari tre anni e mezzo fa aveva deciso di no per il mio bene: forse mi sarei montato la testa. Lo prego tutti i giorni: cinque volte per 2-3’, non di più. Un desiderio più che un dovere, altrimenti eviterei: i miei genitori non mi hanno mai minacciato con un bastone per costringermi a farlo. Prima di una partita non chiedo di vincere, altrimenti dovrei far pregare venti persone: chiedo di non farmi male. Senza salute non c’è lavoro, se hai la salute e il lavoro non ti serve altro".
Il primo gol (col Verona) in Serie A non si scorda mai: "Il gol me lo ricordo: a porta vuota, dopo contropiede di Iago. Più importante che emozionante: a quasi due anni e mezzo dal debutto in A in campionato dovevo ancora segnare. Un gol emozionante? Quello nel derby dell’anno scorso: come un’esplosione, sentivo che era tutto troppo. E ho lasciato uscire tutto".
Sulla tentazione Premier League: "La Premier poteva essere e un giorno spero sarà: giocare lì è un mio sogno, il calcio giusto per il mio stile di gioco. Poteva essere due volte: la prima quando scelsi il Milan, anche se il Caen aveva già accettato le offerte di Arsenal e Everton. La seconda a gennaio, due-tre giorni prima del derby. Mi chiama il mio procuratore: "Il Leicester ha fatto un’offerta al Milan". "E loro?". "Per loro non ti muovi". Anche per Mihajlovic: "Stai qui e fai pure gol nel derby". Rimasi, e senza rimpianti. Anche dopo il titolo del Leicester, tanto il rischio era di fare la riserva di Vardy: lì sono pieni di soldi, ti pagano 20 milioni e poi magari non ti fanno giocare".
Su Pogba e le difficoltà a Manchester: "Ci sentiamo ancora, ma di calcio parliamo poco. Ultimamente mi dice che è dura, ma che sente la fiducia di Mourinho. E io gli dico di non farsi distrarre dalle critiche, è stato pagato tanto e ci si aspetta tanto da lui: un gol da 30 metri e varrà di nuovo 100 milioni".
Sul rapporto con Bacca: "Se c'è Carlos davanti alla porta, io smetto di correre, tanto non c'è respinta. E se non fai gol tu, sai che lo farà lui. Ti dà tante soddisfazioni , difende anche nella nostra area e se arrivo fino sul fondo va sempre nella mia zona per farmi recuperare. Che non giochi per la squadra è una scemenza: vero è che il nostro pressing inizia da lui e se non lo fa, andiamo in difficoltà. Comunque la classifica marcatori la vince Carlos: 5 gol contro i 6 di Icardi, ma giocando e tirando di meno di lui. Serviamolo di più e tirerà di più".
Su Galliani: "Per me è come un padre. Ricordo a memoria le sue prime parole: "Sono venuto a Caen per tornare a Milano con te e stasera torniamo insieme". Con un volo privato: per forza non ci ho dormito la notte. Galliani è come Florentino Perez, chi non lo conosce? Beh, era lì per me e io avevo la valigia già pronta. Poi è arrivato il tempo dei tanti amici. "Che bello", dicevo, ma volevano il mio male: sapevano che era dietro l'angolo e mica mi dicevano "M'Baye, questo no". Galliani sì, senza urlare: "M'Baye, nel Milan non hai il diritto di sbagliare. Sei giovane, ma non puoi fare le cose che fanno quelli della tua età". Un Milan senza Galliani? Faccio fatica ad immaginarlo: nel caso, mi mancherà molto".
Sui peccati di gioventù commessi fuori dal campo: "Tanti, non passava mese senza che ne facessi una. Ma la peggiore è stata l’incidente in macchina, a febbraio: quella che mi ha fatto dire basta". Sul tuffo in piscina dal balcone: "Ma lì per lì quella per me non era una mattata: l’ho capito dopo. Una inedita? Non esiste e sa perché? C’è chi ne fa un sacco e non se ne sa mai nulla, invece le mie si sanno tutte: o sono sfigato, o le nascondo male. Anzi, invece di nasconderle pubblico un video... Ma “basta così” l’ho promesso a me stesso. E se l’ho fatto è perché so di poter mantenere".
Sul suo prossimo obiettivo: "Il sogno rinviato, mi faccia pensare... Vincere il Pallone d’Oro». Fuochino. «Vincere la Champions». Fuochino. «Boh...». «Ah, la nazionale! Ma quella sarebbe una conseguenza. Certo che è solo rinviato, ci sarei già se non fossi scappato dal ritiro dell’Under 21 per andare in discoteca: ce l’avevo lì, a un passo. Ora credo di aver pagato il conto: gioco, dunque spero che Deschamps mi chiamerà. Abbiamo parlato, so che mi segue, aspetta di capire se davvero sono cambiato. Di sicuro non ho mai pensato al Senegal, forse si disse perché non mi chiamava la Francia: ma io mi sento francese, la mia nazionale è quella".
Sulla sua posizione in campo: "Io centravanti lo sarò sempre, perché sono nato così nelle giovanili. Poi in Italia ho fatto subito l’esterno - destro al Milan, sinistro al Genoa - e non è stato facile: riavvicinato alla porta da seconda punta, ero felice come un bambino. Ma sono felice pure adesso, mica faccio più l’esterno da quinto: difendo ma un po’ meno, e così ho più forza per attaccare. E comunque dove giochi, giochi: certe cose non le dimentichi, centravanti lo sei dentro. Anche se sbagli certi gol davanti alla porta come ho fatto contro la Lazio...".
Sul razzismo: "L’ho detto e lo ridico: il razzismo può esistere solo nel mondo degli stupidi. Purtroppo però per fare un mondo ci vuole un po’ di tutto: anche gli stupidi. E gli infelici, perché chi va negli stadi per ululare ai neri o è infelice, o non ha nulla da fare. Il brutto è che si può solo far finta di niente e andare avanti, altrimenti ti fai male da solo. Per questo che se un giorno insulteranno me - finora mai successo, né in campo né fuori - io non abbandonerò mai una partita. Se decide l’arbitro lo rispetto, ma non sarà mai una mia decisione. Ai razzisti puoi fare male solo in campo, con la forza dei tuoi gol: se esci dal campo, hanno vinto loro".
Sul palo di Barcellona e il suo rapporto con Dio: "Certo che mi ricordo chi aveva deciso che fosse palo: Dio. Se Barcellona-Milan si rigioca domani, magari stavolta sceglie che il mio tiro dopo aver picchiato lì vada dentro. E magari tre anni e mezzo fa aveva deciso di no per il mio bene: forse mi sarei montato la testa. Lo prego tutti i giorni: cinque volte per 2-3’, non di più. Un desiderio più che un dovere, altrimenti eviterei: i miei genitori non mi hanno mai minacciato con un bastone per costringermi a farlo. Prima di una partita non chiedo di vincere, altrimenti dovrei far pregare venti persone: chiedo di non farmi male. Senza salute non c’è lavoro, se hai la salute e il lavoro non ti serve altro".
Il primo gol (col Verona) in Serie A non si scorda mai: "Il gol me lo ricordo: a porta vuota, dopo contropiede di Iago. Più importante che emozionante: a quasi due anni e mezzo dal debutto in A in campionato dovevo ancora segnare. Un gol emozionante? Quello nel derby dell’anno scorso: come un’esplosione, sentivo che era tutto troppo. E ho lasciato uscire tutto".
Sulla tentazione Premier League: "La Premier poteva essere e un giorno spero sarà: giocare lì è un mio sogno, il calcio giusto per il mio stile di gioco. Poteva essere due volte: la prima quando scelsi il Milan, anche se il Caen aveva già accettato le offerte di Arsenal e Everton. La seconda a gennaio, due-tre giorni prima del derby. Mi chiama il mio procuratore: "Il Leicester ha fatto un’offerta al Milan". "E loro?". "Per loro non ti muovi". Anche per Mihajlovic: "Stai qui e fai pure gol nel derby". Rimasi, e senza rimpianti. Anche dopo il titolo del Leicester, tanto il rischio era di fare la riserva di Vardy: lì sono pieni di soldi, ti pagano 20 milioni e poi magari non ti fanno giocare".
Su Pogba e le difficoltà a Manchester: "Ci sentiamo ancora, ma di calcio parliamo poco. Ultimamente mi dice che è dura, ma che sente la fiducia di Mourinho. E io gli dico di non farsi distrarre dalle critiche, è stato pagato tanto e ci si aspetta tanto da lui: un gol da 30 metri e varrà di nuovo 100 milioni".
Sul rapporto con Bacca: "Se c'è Carlos davanti alla porta, io smetto di correre, tanto non c'è respinta. E se non fai gol tu, sai che lo farà lui. Ti dà tante soddisfazioni , difende anche nella nostra area e se arrivo fino sul fondo va sempre nella mia zona per farmi recuperare. Che non giochi per la squadra è una scemenza: vero è che il nostro pressing inizia da lui e se non lo fa, andiamo in difficoltà. Comunque la classifica marcatori la vince Carlos: 5 gol contro i 6 di Icardi, ma giocando e tirando di meno di lui. Serviamolo di più e tirerà di più".
Su Galliani: "Per me è come un padre. Ricordo a memoria le sue prime parole: "Sono venuto a Caen per tornare a Milano con te e stasera torniamo insieme". Con un volo privato: per forza non ci ho dormito la notte. Galliani è come Florentino Perez, chi non lo conosce? Beh, era lì per me e io avevo la valigia già pronta. Poi è arrivato il tempo dei tanti amici. "Che bello", dicevo, ma volevano il mio male: sapevano che era dietro l'angolo e mica mi dicevano "M'Baye, questo no". Galliani sì, senza urlare: "M'Baye, nel Milan non hai il diritto di sbagliare. Sei giovane, ma non puoi fare le cose che fanno quelli della tua età". Un Milan senza Galliani? Faccio fatica ad immaginarlo: nel caso, mi mancherà molto".