Nesta: 'Giusto festeggiare il sesto posto, l'Inter farebbe carte false per essere lì. Montella ha allenato dei mediocri'
Non ha potuto partecipare alla cena per festeggiare il decimo anniversario della vittoria della Champions League 2007, ma ha comunque salutato i suoi ex compagni del Milan collegandosi da Miami. Alessandro Nesta è rimasto legato ai colori rossoneri e ha parlato del presente e del futuro alla Gazzetta dello Sport.
Al termine di Milan-Bologna c’è chi ha ritenuto eccessivi i festeggiamenti rossoneri. Per altri invece il sesto posto va celebrato. Lei che ha vinto due Champions, da che parte si colloca?
"Mi schiero dalla parte di chi ha festeggiato. È giusto farlo quando si raggiunge un traguardo, e il Milan l’ha raggiunto. Ovvio, rispetto alla mia epoca gli obiettivi si sono abbassati molto, ma il Milan adesso è questo. Quindi, in quest’ottica, è un passo importante e un grande traguardo. E poi, pensateci un attimo: l’Inter farebbe carte false per trovarsi dove si trova ora il Milan...".
Sì, ma stiamo parlando di un preliminare di Europa League.
"Occorre solo avere tanta umiltà e smettere di pensare al Milan di Berlusconi, perché quel Milan non c’è più. Umiltà è la parola chiave, è con quella che devi affrontare una trasferta a fine luglio in qualche posto semisconosciuto".
Che effetto le fa il Milan senza Berlusconi?
"Tristezza. Io sono un nostalgico, rimpiango anche Moratti... Gente che guidava i club per passione e non per soldi".
Però l’addio di Berlusconi era inevitabile.
"Negli ultimi anni c’è stato tanto caos e il club non era abituato a programmare in condizioni di emergenza. C’è stata confusione nei ruoli in società e così è stato molto più facile cambiare gli allenatori. Hanno sempre pagato loro, ingiustamente. Mi chiedo: al quarto, quinto tecnico che non funziona, magari dovrebbe venirti in mente che non può essere sempre e solo colpa di chi sta in panchina".
Che futuro attende il Milan cinese?
"Questo dev’essere un punto di partenza, adesso occorre cambiare marcia rispetto al passato. Non so, per giudicare prima bisogna capire come lavorano. Addosso mi resta una sensazione di perplessità, mi pare che la proprietà interista si muova di più. Di certo riportare il Milan in Champions sarà dura, dovranno spendere molto".
Lei da dove ripartirebbe?
"Da un gruppo di italiani mentalmente forte. E chi arriva dopo, si allinea. Com’era ai miei tempi e com’è ora nella Juve".
Come si può dilapidare un patrimonio sportivo, dopo aver vinto una Champions, in così pochi anni?
"Semplice: i giocatori invecchiano e devi avere la forza di rimpiazzarli con altri dello stesso valore. Se non puoi permettertelo, inizi a perdere terreno. Un segnale pessimo, ad esempio, erano state le cessioni di Ibra e Thiago. Io e tanti altri abbiamo smesso per motivi anagrafici, loro se ne sono andati per scelte economiche del club. Un segnale di debolezza".
Lei però potrà sempre raccontare di aver vissuto un decennio fantastico in rossonero.
"Il segreto di quel Milan era la mentalità, più che la tecnica: eravamo sempre pronti a giocare partite come quella di Atene. Voglio dire che eravamo sempre pronti alla massima tensione e a sapere come gestirla".
Quali sono i ricordi più nitidi di quel 23 maggio?
"Il più bello è stato rientrare nello spogliatoio con la coppa. Ce lo eravamo promessi dopo Istanbul, e potrebbero sembrare quelle frasi fatte. Ma esserselo promessi ed esserci riusciti significa essere al top. Mi ricordo che Ronaldo ci aspettava dentro con le birre (risata, ndr), poi abbiamo festeggiato in piscina fino a notte fonda. Vincere è come una droga, hai sempre bisogno di rivivere le stesse emozioni e quando non le provi più vai fuori di testa".
Se vincerà il campionato Nasl (la Serie B Usa) a Miami, sarà il suo primo successo da tecnico: com’è la panchina?
"Giocare mi manca da morire, ma voglio fortemente fare l’allenatore. Lavoro 12 ore al giorno e per me è l’unico modo di restare davvero nel calcio. La scrivania non mi interessa".
Di tornare in Italia non se ne parla? Magari prima o poi al Milan.
"Beh, mai dire mai. E poi mica posso vivere per sempre a Miami. L’ambizione è mettermi in gioco anche in Italia, quando sarà il momento".
Al Milan negli ultimi anni è stata duretta per gli allenatori.
"E’ stato un vero tritacarne. Debuttanti come Seedorf, Inzaghi e Brocchi non possono essere giudicabili".
Montella è l’uomo giusto per aprire questo ciclo?
"È un allenatore di livello, a tratti ha fatto giocare bene una squadra con giocatori mediocri. Ha un’ottima idea tattica".
Ci sono state polemiche sulla "bandiera" da portare nel nuovo club: per lei che lo è stato, sarebbe un ruolo utile? Maldini ha rifiutato bruscamente.
"Avere una bandiera in società serve, altrimenti si perderebbe tutta la tradizione. Occorre avere qualcuno che sappia cosa significa stare in un club del genere. Il no di Maldini comunque non mi ha stupito, per lui non c’erano le condizioni".
Che cosa le manca maggiormente del Milan?
"Tutto. Soprattutto Milanello, con tutti i suoi personaggi. La governante, il giardiniere, l’autista. Persone spettacolari. A Milanello sono stato meglio che in un hotel a cinque stelle".
Al termine di Milan-Bologna c’è chi ha ritenuto eccessivi i festeggiamenti rossoneri. Per altri invece il sesto posto va celebrato. Lei che ha vinto due Champions, da che parte si colloca?
"Mi schiero dalla parte di chi ha festeggiato. È giusto farlo quando si raggiunge un traguardo, e il Milan l’ha raggiunto. Ovvio, rispetto alla mia epoca gli obiettivi si sono abbassati molto, ma il Milan adesso è questo. Quindi, in quest’ottica, è un passo importante e un grande traguardo. E poi, pensateci un attimo: l’Inter farebbe carte false per trovarsi dove si trova ora il Milan...".
Sì, ma stiamo parlando di un preliminare di Europa League.
"Occorre solo avere tanta umiltà e smettere di pensare al Milan di Berlusconi, perché quel Milan non c’è più. Umiltà è la parola chiave, è con quella che devi affrontare una trasferta a fine luglio in qualche posto semisconosciuto".
Che effetto le fa il Milan senza Berlusconi?
"Tristezza. Io sono un nostalgico, rimpiango anche Moratti... Gente che guidava i club per passione e non per soldi".
Però l’addio di Berlusconi era inevitabile.
"Negli ultimi anni c’è stato tanto caos e il club non era abituato a programmare in condizioni di emergenza. C’è stata confusione nei ruoli in società e così è stato molto più facile cambiare gli allenatori. Hanno sempre pagato loro, ingiustamente. Mi chiedo: al quarto, quinto tecnico che non funziona, magari dovrebbe venirti in mente che non può essere sempre e solo colpa di chi sta in panchina".
Che futuro attende il Milan cinese?
"Questo dev’essere un punto di partenza, adesso occorre cambiare marcia rispetto al passato. Non so, per giudicare prima bisogna capire come lavorano. Addosso mi resta una sensazione di perplessità, mi pare che la proprietà interista si muova di più. Di certo riportare il Milan in Champions sarà dura, dovranno spendere molto".
Lei da dove ripartirebbe?
"Da un gruppo di italiani mentalmente forte. E chi arriva dopo, si allinea. Com’era ai miei tempi e com’è ora nella Juve".
Come si può dilapidare un patrimonio sportivo, dopo aver vinto una Champions, in così pochi anni?
"Semplice: i giocatori invecchiano e devi avere la forza di rimpiazzarli con altri dello stesso valore. Se non puoi permettertelo, inizi a perdere terreno. Un segnale pessimo, ad esempio, erano state le cessioni di Ibra e Thiago. Io e tanti altri abbiamo smesso per motivi anagrafici, loro se ne sono andati per scelte economiche del club. Un segnale di debolezza".
Lei però potrà sempre raccontare di aver vissuto un decennio fantastico in rossonero.
"Il segreto di quel Milan era la mentalità, più che la tecnica: eravamo sempre pronti a giocare partite come quella di Atene. Voglio dire che eravamo sempre pronti alla massima tensione e a sapere come gestirla".
Quali sono i ricordi più nitidi di quel 23 maggio?
"Il più bello è stato rientrare nello spogliatoio con la coppa. Ce lo eravamo promessi dopo Istanbul, e potrebbero sembrare quelle frasi fatte. Ma esserselo promessi ed esserci riusciti significa essere al top. Mi ricordo che Ronaldo ci aspettava dentro con le birre (risata, ndr), poi abbiamo festeggiato in piscina fino a notte fonda. Vincere è come una droga, hai sempre bisogno di rivivere le stesse emozioni e quando non le provi più vai fuori di testa".
Se vincerà il campionato Nasl (la Serie B Usa) a Miami, sarà il suo primo successo da tecnico: com’è la panchina?
"Giocare mi manca da morire, ma voglio fortemente fare l’allenatore. Lavoro 12 ore al giorno e per me è l’unico modo di restare davvero nel calcio. La scrivania non mi interessa".
Di tornare in Italia non se ne parla? Magari prima o poi al Milan.
"Beh, mai dire mai. E poi mica posso vivere per sempre a Miami. L’ambizione è mettermi in gioco anche in Italia, quando sarà il momento".
Al Milan negli ultimi anni è stata duretta per gli allenatori.
"E’ stato un vero tritacarne. Debuttanti come Seedorf, Inzaghi e Brocchi non possono essere giudicabili".
Montella è l’uomo giusto per aprire questo ciclo?
"È un allenatore di livello, a tratti ha fatto giocare bene una squadra con giocatori mediocri. Ha un’ottima idea tattica".
Ci sono state polemiche sulla "bandiera" da portare nel nuovo club: per lei che lo è stato, sarebbe un ruolo utile? Maldini ha rifiutato bruscamente.
"Avere una bandiera in società serve, altrimenti si perderebbe tutta la tradizione. Occorre avere qualcuno che sappia cosa significa stare in un club del genere. Il no di Maldini comunque non mi ha stupito, per lui non c’erano le condizioni".
Che cosa le manca maggiormente del Milan?
"Tutto. Soprattutto Milanello, con tutti i suoi personaggi. La governante, il giardiniere, l’autista. Persone spettacolari. A Milanello sono stato meglio che in un hotel a cinque stelle".