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Nessun club vuole ingaggiarlo: ecco perché Ancelotti apre alla Nazionale
In effetti, come molti sanno, la possibilità di guidare l’Arsenal c’è ancora. Tuttavia, al primo deciso approccio della dirigenza inglese, non è seguita l’accelerazione risolutiva. Tanto che, a questo punto della stagione, qualcuno non scarta neppure l’ipotesi - aborrita dalla maggioranza dei tifosi dei Gunners - della permanenza di Wenger, nel caso riuscisse a vincere l’Europa League. In ogni caso, Ancelotti non è più l’unico candidato a quella panchina e questo lo sta destabilizzando. La ragione è semplice: tutti gli altri posti in Europa sono o saranno occupati, altri non sono disponibili o perché Ancelotti c’è già stato (e non ha fatto bene) o perché si vuole provare con un profilo diverso dal suo.
Per restare al primo caso, prendiamo ad esempio l’esperienza juventina. Tralasciando la parentesi da subentrato (a Lippi), Ancelotti in due stagioni (1999-2000, 2000-2001) ha vinto solo la Coppa Intertoto, un trofeo che l’allenatore vuole annoverare fra i 19 della sua carriera, ma del quale sarebbe meglio non menar troppo vanto. Era riservato, infatti, alle squadre che, non avendo raggiunto in campionato l’ammissione alla Coppa Uefa, disputavano un duro torneo estivo per accedervi. Ammesso che questo sia un successo, in due anni Ancelotti ha colto altrettanti secondi posti in campionato. Eppure nella sua Juve giocavano elementi come Zidane, Davids, Ferrara, Zambrotta, Conte, Del Piero, Inzaghi, Montero, Tacchinardi e Trezeguet.
Erano - è giusto ricordarlo - i tempi de “un maiale non può allenare”, uno slogan inaccettabile con cui la parte più intransigente e retriva della tifoseria juventina bollava la gestione-Ancelotti. Colpa di vecchi rancori alimentati dalla rivalità con il Parma, allora guidato da Carletto. Il clima, dunque, non solo non era ideale, ma avvelenato e nessuno può ignorare che avesse un’incidenza profonda. La società, ovviamente incarnata da Giraudo, Moggi e Bettega, difese l’allenatore e il suo lavoro, ma alla fine Umberto Agnelli decise per il sacrificio di Ancelotti. Da lì in avanti i successi sono arrivati ovunque. Dal Milan (otto trofei) al Chelsea (la Premier League); dal Psg (il campionato) al Real Madrid (la decima Champions League) fino al Bayern (Bundesliga) dove si è però consumato anche un esonero traumatico.
Tuttavia l’Ancelotti attuale non può tornare al Milan (c’è Gattuso quasi confermato e, comunque, la complessa situazione societaria non aiuta), non tornerà al Chelsea (o resta Conte o arriva Luis Enrique), non rientra al Paris Saint Germain perché o ci va Allegri o ci va Conte. Dal Bayern se ne è appena venuto senza rimpianti reciproci. Cosa rimane? A parte l’Arsenal, non le prime cinque squadre inglesi (nel Manchester City Guardiola vince, nello United Mourinho ha appena prolungato il contratto), non il Barcellona perché Valverde sta facendo benissimo e, tra le altre cose, Ancelotti è un madridista, non la Roma, dove Carletto andrebbe volentieri, ma è ancora da terzo posto.
In teoria ci sarebbe Zidane sempre in bilico, ma con quel Real Madrid uno non può mai fare previsioni riduttive. Può essere che, se non vince la Champions (sarebbe la terza di fila per lui!), Zidane venga cacciato, ma è tutto da vedere che Florentino Perez ripensi ad Ancelotti.
E sicome tutti sono in attesa degli eventi, bene ha fatto Alessandro Costacurta a porre la data del 20 maggio come termine ultimo per l’annuncio del nuovo c.t. dell’Italia. Se Ancelotti è diventato il primo della lista, sbalzando, almeno momentaneamente, Roberto Mancini, deve sapere due cose: che la Nazionale non è una soluzione di ripiego e che l’ingaggio sarà buono, ma non competitivo con il mercato dei club. Meno che mai dei più facoltosi.