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Viscidi a CM: 'Basta agli allenatori arrivisti, i club ci diano una mano. Vi spiego la crisi degli attaccanti italiani'
Qual è il vostro metodo?
"La formazione di un calciatore non può avvenire solo in Nazionale dove i giocatori rimangono 3 giorni al mese, ma va fatta in sinergia con i club. Il nostro metodo di lavoro si basa sullo scouting e la capacità di individuare il talento su ogni territorio grazie al lavoro di osservatori e tecnici. Oggi, inoltre, abbiamo anche un'area dati da consultare e un'area video per scaricare le partite. Da novembre c'è una novità".
Cioè?
"Lo scouting è mondiale, non più nazionale. Coinvolge tutto il panorama del Club Italia, nazionali giovanili comprese. Perché abbiamo il dovere di conoscere giocatori con passaporto italiano, e non possiamo discriminarli".
L'altro aspetto sul quale puntate?
"I raduni e le partite internazionali, che permettono ai ragazzi di fare esperienze uniche. A vedere Germania-Italia Under 19 c'erano 5mila spettatori; così i giocatori iniziano a sentire l'emozione e la tensione delle partite importanti".
Cosa ci manca per arrivare al livello dei Paesi top?
"I dati dicono che i nostri giovani hanno numeri un po' più bassi di altri campionati per quanto riguarda le presenze in prima squadra: un po' perché alcuni vanno all'estero, un po' perché gli allenatori hanno ancora paura a farli giocare. Ma sono cifre in crescita rispetto a prima, non c'è più un divario così netto".
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Come mai secondo lei ancora si fa difficoltà a lanciare i giovani?
"Ci sono società che investono nelle strutture giovanili, altre ci credono meno e preferiscono prendere giocatori all'estero; fa parte della libertà di ogni club. Io mi auguro che l'appartenenza alla Federazione italiana migliori sempre di più".
In questa stagione stiamo vedendo tanti stranieri anche in Primavera.
"Sono il 37% dei giocatori del campionato, una percentuale alta e superiore rispetto agli anni scorsi".
In che modo risolvere questo problema?
"Per crescere i giovani italiani serve sinergia tra club e Nazionale. Il ragazzo migliora giocando le partite di campionato che possono portarlo a fare esperienza in maglia azzurra".
Recentemente ha detto che nei settori giovanili non si salta più l'uomo e si gioca solo di squadra.
"Il metodo di lavoro usato nelle giovanili ultimamente è troppo simile a quello delle prime squadre. Tra i grandi è giusto essere concentrati sulla partita e sulla tattica per arrivare alla vittoria, ma nei vivai bisognerebbe puntare sul singolo giocatore: sulla crescita tecnico-tattica e fisica del ragazzo per preparare un percorso. Invece, vedo che sono allenamenti scopiazzati dalle prime squadre perché tanti allenatori delle giovanili sono lì con l'obiettivo di far carriera. E, in generale, c'è poca conoscenza di metodologie su tecnica e tattica individuale".
Cassano non è proprio d'accordo con il suo pensiero.
"Io ho fatto un intervento di un'ora davanti a responsabili di Serie A, B e C nel quale ho spiegato, partendo dai dati, che gli attaccanti vanno poco in profondità e non saltano l'avversario. Tra loro c'erano anche ex centravanti che hanno apprezzato questo intervento. Ho specificato che la punta deve saper riconoscere le varie situazioni di gioco, ma attualmente conosce solo quella di venir incontro al pallone per dialogare con la squadra. Se poi qualcuno non è d'accordo con me non mi metto a fare polemica, forse bisognerebbe leggere più attentamente".
Esiste davvero un problema nel calcio italiano?
"Sicuramente sì, ma è impossibile sintetizzare tutto con una sola voce nell'elenco. Parliamo di strutture inadeguate, numero di allenamenti inadeguati... In Belgio, per esempio, a 18 anni raggiungono lo stesso numero di ore di lavoro che noi tocchiamo a 21 anni. Praticamente arriviamo tre anni dopo".
Altri problemi?
"Quello del divario tra Primavera e prima squadra; bisogna intervenire, magari cambiando la struttura dei campionati. Andiamo avanti: c'è un problema legato ai passaporti. Abbiamo giovani italiani di qualità che però non hanno ancora il nostro passaporto, per questo abbiamo allargato il bacino a giocatori all'estero convocabili dall'Italia".
Un caso limite è quello di Amey del Bologna.
"Questi sono ragazzi nati qui, con cultura italiana e che arrivano dalla nostra scuola calcistica; ma non hanno il passaporto italiano. Non voglio entrare in un discorso politico, ma all'estero è più facile ottenere un passaporto".
Quant’è importante il coordinamento tra i vari ct delle Under?
"Fondamentale, per un discorso di continuità. Nell'Under 19 che si è qualificata per la fase finale dell'Europeo eliminando Belgio e Olanda, c'erano quattro titolari che l'anno scorso erano in Under 17 e sono partiti dall'Under 15. Locatelli, Donnarumma, Bastoni, Romagnoli, Barella, Dimarco e tanti altri sono partiti tutti dal'Under 15; gli allenatori interagiscono tra loro e si passano le consegne. Siamo stati sfortunati mancando la qualificazione agli ultimi due Mondiali, capisco la gente che vede tutto nero ma non è così: il ranking ci vede al terzo posto in Europa a livello di Under 17, e quarti tra le Under 19. Siamo in una fase di transizione, ma di talenti ne stanno nascendo".
In che modo si riconosce il talento?
"Noi lo facciamo attraverso un acronimo inventanto dagli olandesi grazie al quale cerchiamo di dare una valutazione del giocatore: si chiama TIPSS".
Ce lo spieghi.
"Tecnica, Intelligenza calcistica, quindi la capacità di fare la scelta migliore in campo, fattore Psicologico/caratteriale, Speed, intesa come velocità muscolare, e Struttura. Questa voce l'abbiamo messa per ultima perché non è un aspetto fondamentale per arrivare ad alto livello; pensiamo ai vari Raspadori e Dimarco, pur non avendo un grande fisico sono arrivati lo stesso ad alti livelli".
Qual è l’obiettivo del coordinatore?
"Avere per ogni annata almeno 18 giocatori su 20 in grado di passare alla categoria successiva; e mi piacerebbe averne almeno 3 in Nazionale A per ogni anno di nascita. Se Scalvini, Miretti e Gnonto (tutti classe 2003, ndr) salgono con Mancini, per esempio, il coordinatore è contento".
Cosa pensa della convocazione di Retegui?
"Credo sia un obbligo per una Federazione come la nostra conoscere i calciatori con passaporto italiano, indipendentemente da dove giocano. Nessuno si scandalizza se la Cristoforetti è sulla Luna, anzi: ne siamo orgogliosi anche se vive all'estero. A noi invece sono successi casi al contrario".
Cioè?
"Penso a Valentin Carboni, sono amareggiato di averlo perso. L'avevamo preso con noi, poi l'Argentina l'ha convocato in Nazionale A. Ed è una nazionale di alto livello che ha fatto proprio come noi. Se non iniziamo a entrare in quest'ottica rischiamo di rimanere fermi, di non conoscere il mondo e magari venire privati di qualche talento. E di talenti con passaporto italiano, in giro, ce ne sono molti".
Sicuramente.
"Mi arrivano mail di genitori che dicono di sentirsi discriminati perché i figli giocano all'estero e vorrebbero essere presi in considerazione. Vi racconto una cosa".
Prego.
"Il nostro capitano dell'Under 15 dopo cinque anni in Spagna ha preso la loro cittadinanza: ma è figlio di un ex giocatore italiano, gioca nel Barcellona e noi lo facciamo giocare nell'Italia. Perché non dovremmo chiamarlo?!".
@francGuerrieri