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Napoli a Madrid, Insigne: 'Il pallone è il mio vizio, la strada la mia scuola. Picchiato da Barzagli e Chiellini'
"Sono l’unico napoletano della rosa oltre al terzo portiere? E questo aumenta la pressione, i tifosi si aspettano sempre di più da me. Lo stesso che succede a Totti, Florenzi e De Rossi nella Roma. Sarri dice che ho la "faccia di culo" sufficiente per sopportare la pressione? In campo penso soltanto a divertirmi e a vincere".
"Del calcio mi diverte tutto. Se fosse per me, mi allenerei tutti i giorni con il pallone. Mi mettono a correre senza la palla e divento pazzo. Dove sto io dev’esserci un pallone: è il vizio che ho fin da piccolo. Devo ringraziare Benitez: con lui ho imparato l’importanza della fase difensiva. Prima mi preoccupavo solo di quella offensiva. Nel calcio di oggi in Europa, devi essere bravo sia ad attaccare, sia a difendere. Qualcuno mi rimprovera perché dribblo troppo? No, Sarri dà libertà totale a me, Callejon e Mertens negli ultimi 30 metri. Ci chiede solo di stare attenti nei ripiegamenti".
"Con Zeman mi divertivo... Con lui esisteva solo la fase offensiva: 'Preoccupati di attaccare', mi ripeteva. Mi ha insegnato a vivere lontano da casa. Quando andai con lui al Foggia era la prima volta: all’inizio mi pesava, di sera soffrivo. Quelli che non conoscono Zeman dicono che non ride mai: tutto il contrario, scherzava sempre. Se sono arrivato fino a qui è per la fiducia che mi ha dato. Mi diceva di giocare come se fossi in strada e di divertirmi. È quello che ci dice Sarri, perché se non ti diverti, mentalmente è sfiancante".
"Per arrivare in alto bisogna sapersi sacrificare. Io ho rinunciato a tante cose: a uscire il sabato sera, a fare tardi con gli amici. A Napoli ci sono tanti giocatori di talento che non arrivano in alto perché non hanno la capacità di rinunciare a tante cose. Io devo molto ai miei genitori, perché quando avevo 17-18 anni il coprifuoco era alle 22.30, mentre i miei amici tornavano all’una. E prima delle partite andavo a letto alle 20. Sono cresciuto in un quartiere operaio, tra casini di ogni tipo. I miei mi hanno aiutato molto, sarò sempre grato a loro per questo. Per restare in alto servono professionalità e serietà. A me piace arrivare sempre un’ora prima agli allenamenti".
"I difensori che mi hanno dato più calci sono due: Chiellini e Barzagli, ma è il loro lavoro. Ho perso il conto dei miei tatuaggi. Ma adesso basta, mia moglie mi ha detto che se me ne faccio un altro non mi fa più entrare in casa. Da bambino collezionavo figurine? No, pensavo solo a giocare. Avrei chiesto l’autografo a Del Piero: per il suo modo di giocare, per come tirava le punizioni, per la sua professionalità. E perché non discuteva mai con nessuno, né dentro né fuori del campo. Il regalo più bello che ho ricevuto quando ero piccolo? Gli scarpini di Ronaldo, il Fenomeno. Mio padre lavorava al Nord, tornava a casa ogni due settimane e portava me e i miei tre fratelli a comprare scarpini da calcio. Lo facevo girare a piedi per tutta la città finché non trovavamo quelli di Ronaldo…".
"Dove sono nato e cresciuto mi ricordano come un rompiscatole? Perché c’era un muro gigantesco e passavo il giorno a palleggiare contro la parete, dalle 7 del mattino fino a quando mia madre mi chiamava. Si lamentavano tutti del rumore, però a qualcosa mi è servito, direi... E' lì che ho cominciato. Giocavo per la strada, finché il padre di un amico che stava mettendo su una scuola calcio venne nel quartiere e ci chiese di iscriverci. Lo fece mio fratello, di tre anni più grande. Un giorno andai a vederlo e dissi che pure io volevo giocare. Mi dissero di no, ero troppo bassino. 'Come? Io voglio giocare'. Scesi in campo e non ne uscii più. Ho imparato a non arrendermi mai, e a trasmettere tutta la grinta e la felicità che sento quando scendo in campo".