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  • Musulmana in panchina, vita a rischio per il calcio: la storia di Annie Zaidi

    Musulmana in panchina, vita a rischio per il calcio: la storia di Annie Zaidi

    • Stefano Benzi
    Una donna coraggiosa, determinata ed estremamente intelligente, capace di mettere a rischio la sua stessa vita per amore del calcio e delle cose in cui crede. Non ha scelto la strada più comoda Annie Zaidi che è diventata una importante influencer, suo malgrado e con non pochi pericoli. 

    Annie è musulmana: vive in Inghilterra da sempre e per diversi anni ha cercato di giocare a calcio da professionista prima di diventare allenatrice. La sua carriera da calciatrice non è nemmeno iniziata: in compenso è la prima donna di origine asiatica e musulmana a ricevere un patentino da allenatore di seconda classe. Nel 2015 ha ritirato per il suo impegno sociale l’Helen Rollason Award e la British Empire Medal, una delle onorificenze reali più importanti. 

    Annie ha sempre creduto fermamente nei valori di tolleranza e rispetto promossi dallo sport: “Ho dovuto superare moltissimi pregiudizi per essere la donna che sono oggi – spiega in una splendida e ampia intervista – i primi tempi sono stati molto duri. Non mi era consentito giocare e nemmeno indossare una divisa da calcio ma sono stata caparbia e tenace. Volevo essere donna, calciatrice e musulmana”.

    La cosa ha creato non pochi problemi a lei e alla sua famiglia: gli integralismi religiosi sappiamo che non tollerano atlete, peggio ancora se calciatrici, e questi integralismi sono forti non solo nei paesi islamici ma anche in Inghilterra dove le comunità radicali e integraliste sono numerosi e forti. I rischi di una fatwa, la condanna per chi contravviene alle norme coraniche, erano molto concreti.  

    Annie è andata oltre: “Il calcio è uno sport fantastico che può essere utilizzato come strumento per abbattere le barriere e creare coesione. Il calcio mi ha aiutato come giocatrice prima e come allenatrice poi: ho fatto del mio credo e della mia passione una missione e oggi posso solo dire grazie alle persone che non si preoccupano del mio sesso o della mia razza ma solo di come alleno una squadra. Se un giorno mi avessero detto che avrei allenato professionalmente non ci avrei mai creduto”.

    Annie indossa la hijab, il velo musulmano che la copre dalla testa ai piedi lasciandole scoperto solo il viso: “Non sono mai riuscita a giocare al livello cui avrei voluto perché le possibilità per donne musulmane provenienti da una radice come la mia erano praticamente inesistenti. Ho continuato a credere nello sport e ho deciso di studiare per diventare allenatore superando tutti gli esami e qualsiasi pregiudizio”. 

    Oggi Annie fa parte della BACA, l’associazione degli allenatori neri e asiatici, una minoranza nella minoranza, e ha creato la Fondazione Annie Z che cerca di abbattere i pregiudizi che ha dovuto affrontare lei, aiutando le ragazze musulmane o di etnia asiatica a concretizzare la loro passione per il calcio. Le sue dichiarazioni le hanno causato gravi problemi con gli integralisti della religione ma l’hanno anche portata a essere una delle donne più influenti d’Inghilterra nel mondo dello sport e sull’argomento della tolleranza: “Non fatevi mai dire da qualcuno chi siete e cosa dovete fare – dice con lo sguardo fiero, guardando dritto nell’occhio della telecamera – io ho più etichette addosso di un vasetto di marmellata. E me ne frego: sono un’allenatrice, sono una donna che pensa liberamente e che ha deciso di essere quello che voleva essere. Con la mia fondazione cerco di ispirare, aiutare e incoraggiare le ragazze più giovani che vivono dietro barriere razziali, etniche o religiose a scavalcarle e autodeterminarsi. L’unico scopo dei sogni è puntare a realizzarli. Se no, cosa viviamo a fare?”

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