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    Muccioli angelo o demone? Il caso di San Patrignano riesplode su Netflix

    Muccioli angelo o demone? Il caso di San Patrignano riesplode su Netflix

    • Mauro Brisacani
    La docu-serie di SanPa racconta le luci e le ombre del mito di Muccioli e di San Patrignano, per far riflettere su una delle storie più controverse dell’Italia del secolo scorso.

    Netflix, il colosso statunitense dello streaming ha rilasciato nei giorni scorsi, la docu-serie “SanPa: luci e tenebre di San Patrignano” un prodotto italiano nato dalla mente di Gianluca Neri, scritta a sei mani da Carlo Gabardini, Gianluca Neri e Paolo Bernardelli e diretta da Cosima Spender.

    Il documentario, della durata di 5 puntate, vuole raccontare le vicende legate alla figura di Vincenzo Muccioli e a quella della comunità di recupero per tossicodipendenti più grande d’Europa, che negli anni ’80 ha fatto discutere tutto lo stivale, ma che poi non ha più avuto risalto mediatico.

    SanPa è un documentario atipico, privo di narratori, decisione presa dagli autori per non influenzare il pubblico con le proprie posizioni e per lasciar parlare quelle inchieste e interviste che hanno fatto tanto discutere gli italiani per diverso tempo.

    La serie serve anche a rispolverare una vicenda mai chiusa, vista sempre e solo come bianco e nero, luce e oscurità, con la figura di Vincenzo Muccioli intenta a salvare centinaia di ragazzi ormai persi nel tunnel della tossicodipendenza, con presunti metodi coercitivi e per nulla adatti ad una comunità di recupero, una vicenda talmente complessa e ancora irrisolta tanto da aver portato la stessa regista del documentario a doversi tuffare all’interno di oltre duecento ore di interviste e testimonianze, “Una giungla nella quale muoversi con il machete” come affermato dalla Spender, usati per proporre nel modo più equilibrato possibile questa storia italiana.

    Una storia che stando alle parole dei creatori di questo documentario, gli stessi protagonisti sentivano il bisogno di raccontare e di esternare dopo oltre trent’anni.

    La domanda finale che (si) pone Carlo Gabardini, uno degli autori, è semplice ma che al tempo stesso fa aprire una profonda riflessione, “Quanto male sei disposto a tollerare perché venga fatto del bene?”.

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