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Mourinho, il finto ingenuo e il colpo del ko a Conte: ci manca uno così?
E’ un uomo nato per dividere. O con lui o contro di lui. Con chi non gli è simpatico (e la lista dei colleghi allenatori con cui ha litigato è lunghissima) sa essere velenoso, pungente, documentatissimo sui punti deboli altrui (ha un ufficio stampa che lavora anche e non solo su questo fronte). Guardate come sta gestendo la diatriba con Antonio Conte: prima l’ha evocato senza nominarlo, poi ha aspettato la reazione, ha finto un’ingenuità che non gli appartiene e ha piazzato il colpo da ko, tirando fuori il calcioscommesse, poi stimolato - diciamo così - il suo portavoce ufficiale a chiedere pubblicamente a Conte - in un articolo sul quotidiano portoghese Record - se sa o meno cosa sia l’Epo.
Eppure: Mou è anche affettuoso, generoso, capace di grandi slanci di sincera umanità con chi ritiene degno della sua considerazione e della sua amicizia (a questo proposito sono rarissimi i giocatori allenati da lui che ne parlano male, anzi, la stragrande maggioranza lo rispetta, perché è spesso lui che rispetta loro). Comunque la pensiate, dovete ammettere che il suo arrivo in serie A (lui parlerebbe di discesa dal cielo sulla terra) è stato l’ultimo vero «botto mediatico» generato da un uomo di calcio.
Ci manca? Sì. Ma anche no. Nella società civile siamo abituati al leader narcisista che cerca il consenso attraverso l’identificazione con la gente. Mourinho fa esattamente l’opposto. Verbalmente è quasi sempre aggressivo, è in lotta con il mondo, ha bisogno di un nemico (da Ranieri a Benitez, da Guardiola a Conte) per caricarsi. E’ la strategia di uno sciamano. Accredita la sua superiorità con l’antipatia, qui sta la differenza con altri leader, sia in campo sociale che sportivo.
La certezza è che abbiamo a che fare con il PIU’ GRANDE COMUNICATORE dai tempi del Mago Herrera, il primo che negli anni '60 diede peso mediatico alla categoria degli allenatori. E’ spontaneo. Ma sa giocare con il suo personaggio come nessun altro dei suoi colleghi. Pensateci: tutti loro, alla fine, recitano una parte. Il timido, l’arrabbiato, lo scontroso, il finto umile, il polemico a prescindere. Ma è come se Mourinho avesse studiato meglio degli altri. Perché alla fine è sempre lui - se e quando vuole - a prendersi la scena. Nel bene e nel male.