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Mourinho: 'Col Milan la svolta in carriera. Ho vinto una coppa e mezzo a Roma e ho altri 6 mesi. Inter, se fossi rimasto...'
NULLA DI STRAORDINAIO - “Non partirei. Pensi che sia una storia interessante? La mia storia è la mia vita, l’ho vissuta fino ad oggi e per me è normale, niente di straordinario. Magari da fuori avete un’altra percezione, per me è normale”.
GLI INIZI CON I GIOCATORI DISABILI - “Ero in difficoltà in quel periodo lì, avevo una laurea in Scienze Motorie. Dopo tre anni, ognuno di noi sceglieva il proprio futuro. In quegli anni, sono stato ovviamente nel calcio, nei campi di allenamento e lavoravo con bambini con Sindrome di Down. Non ero all’altezza della dimensione di quel lavoro lì, mi ha salvato il rapporto che ho creato con quei ragazzi lì, avevano tra i 12 e i 17 anni, io ne avevo 24 e mi guardavano come uno di loro. Sono riuscito a fare calcio per loro e creare con quella squadra un rapporto umano. Non sono io diciamo il genio di quella fase, ma un mio professore universitario che mi diceva che io sarei stato allenatore di giocatori che giocano a calcio. Tornando a quel periodo lì con la scuola di educazione speciale, quella è stata la mia salvezza. Sono stati due anni straordinari per me”.
I LUOGHI NEL MONDO - “A Steubal sono stato un ragazzo veramente felice, fortunato e felice. Fortunato per gli amici, felice per la famiglia. Quei 26 anni che sono stato a Setubal tutti i ricordi sono assolutamente fantastici. Lì non sono neanche José quando torno, sono Zé con una zeta e una è. Come famiglia siamo stati fortunati. Abbiamo vissuto a Londra, Madrid, Milano, Roma, abbiamo avuto una vita importante. Setubal, però, è Setubal, non abbiamo la Fontana di Trevi ma abbiamo un’altra fontana che, se bevi dell’acqua da lì, sarai fortunato tutta la vita. E io l’ho bevuta”.
HODGSON E VAN GAAL - “A Barcellona ho lavorato con Hodgson e van Gaal, quest’ultimo mi ha detto che avrebbe allenato la sua nazionale e mi aveva consigliato di restare o iniziare una carriera da solo. Van Gaal era uno molto educativo, l’esperienza di allenare i migliori giocatori del mondo in quel momento era importante ed educativo per un giovane assistente come ero io. Ringrazierò sempre van Gaal”.
BARCELLONA - “Quando van Gaal lascia Barcellona, io sono rimasto con il nuovo allenatore e con il nuovo presidente che mi ha chiesto di aiutare il nuovo tecnico. Non era la mia spiaggia, non mi sentivo bene. Ho fatto il ritiro precampionato con loro, poi arrivo a casa ad agosto e dico a Matilde (la moglie, ndr) che non ero felice.
PORTO - “Ero terzo a gennaio, poi sono andato subito al Porto perché è possibile cambiare subito panchina in corsa e a gennaio sono andato al Porto. Pochi mesi dopo, gioco la finale del Portogallo proprio contro il Leiria che avevo appena lasciato. È stata una finale drammatica dal punto di vista emotivo. La Supercoppa col Milan? Mentalmente, è stata una partita super importante per noi. Eravamo una squadra di bambini, io ero un bambino a quel livello lì, a parte Vitor Baia non avevamo giocatori di esperienza. Abbiamo giocato contro il Milan di Ancelotti, c’erano Shevchenko, Rivaldo, Maldini e per noi perdere 1-0 e giocare come abbiamo fatto è stato di un’importanza clamorosa".
LA PRIMA CHAMPIONS - "Sono sempre accusato di essere poco umile, devo dare ragione a chi lo dice. Ho fatto tante imprese, ma vincere la Champions League con il Porto è una super impresa con nove giocatori portoghesi che hanno giocato la finale di Champions League, sette ragazzi un anno prima non avevano nessuna partita in Champions League".
LE VITTORIE IMPENSABILI - "Ma ci sono altre imprese perché se ho avuto la fortuna di lavorare con squadre con grandi budget, ho avuto la difficoltà di lavorare in squadre dove vincere è miracolo. Ho vinto con quel Manchester United, ho vinto una coppa e mezza con la Roma, non sono stato capace di vincere due coppe a Roma ma ne ho vinta una e mezza e ho altri sei mesi qui. Quella con il Porto è un’impresa che mi ha aperto le porte del mondo”.
IL CHELSEA - “È stata un’impresa perché in Inghilterra tutti hanno poteri economici. Al Chelsea quando sono arrivato c’erano già stati investimenti, Abrahamovic era lì da due anni ma mancava l’ultimo passo, c’era stato Ranieri prima di me. Non mancava tanto per vincere, c’era il potenziale per cambiare la cultura e per decidere quali calciatori avere e non è una cosa che accade spesso. Abbiamo costruito una squadra da sogno con due Premier League di fila, abbiamo vinto tre coppe e quando sono andato via la stessa squadra, con qualche investimento in più, ha continuato a fare la storia”.
NELLA TESTA DEI GIOCATORI - "Ci sono cose che a livello umano tu devi riuscire ad andare più lontano. Non c’è un segreto per arrivare lì, devi essere te stesso ed essere empatico con la gente che lavora con me. Essere empatico significa essere critico, esigente, aperto, essere onesto. Il giocatore quando lavora con me capisce che sono onesto e dentro l’onestà esiste tutto questo, così il rapporto diventa ottimo e tu ottieni il massimo da ogni giocatore, penso che non sia un segreto”.
L'INTER - “Quando con l’Inter ho battuto il Chelsea nel ritorno degli ottavi di Champions League, eravamo reduci dalla vittoria anche nella gara d'andata. In quella partita, il Chelsea segna con Kalou e festeggia tanto. Dopo la gara mi viene a chiedere scusa per aver festeggiato tanto, ho detto a Salomon che non doveva scusarsi, è il gioco. I ragazzi dell’Inter erano gente psicologicamente forte, era gente preparata. Quando stavamo per giocare contro il Chelsea, ho detto loro che non avevo mai perso in quello che era il mio stadio, non avevo mai perso. Mi sono fatto male per esultare, un dolore (ride, ndr)”.
NON SOLO UNA CHAMPIONS - “Qualche volta noi allenatori facciamo i fenomeni, ma alle volte le cose accadono perché fai in modo che accadono, hai giocatori bravi e di personalità, giocatori che tu potevi pressare ai limiti e loro ti rispondevano sempre. Se fossi rimasto altri 2-3 anni con quella squadra, avremmo vinto più di una Champions come dice sempre Materazzi”.