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    Morte Mihajlovic, il ricordo di Eriksson: 'Leader, campione e amico. I portieri diventavano matti...'

    Morte Mihajlovic, il ricordo di Eriksson: 'Leader, campione e amico. I portieri diventavano matti...'

    Sven-Goran Eriksson, oggi settantaquattrenne, Sinisa Mihajlovic lo ha conosciuto molto bene. Intervistato dal Corriere della Sera, lo svedese ricorda così l'ex giocatore e allenatore serbo, morto venerdì all'età di 53 anni.  

    "Un ricordo? Ne ho cento, mille, infiniti. Che dolore, che dispiacere. L’ultima volta che l’ho sentito? Quando disse: ho di nuovo malattia. L’ho chiamato subito. Pensavo di dover incoraggiare un amico, mi ero preparato qualche frase utile. Come dite voi? Di circostanza. Ma no, era il solito Sinisa. Sentivo la sua voce sicura. Sapeva bene cosa rischiava, sapeva che la malattia era terribile. Ma non aveva dubbi. Combatterò anche questa. Vinco anche stavolta, è dura, ma tu sai come sono, mister".

    Com’era Mihajlovic?
    "Un campione. Dentro, ma anche fuori dal campo. Sai, quella Lazio era gonfia di talenti, gente di qualità, con personalità fortissime. E poi c’erano serbi, croati. È un attimo che ti può scappare tutto di mano. Sinisa però giocava sempre per la squadra, per vincere. Voleva sempre vincere. E per raggiungere la vittoria si sacrificava tantissimo. Un guerriero. Ricordo allenamenti infiniti, ricordo le sue punizioni...".

    Erano una sentenza?
    "Sì. Ricordo che quando nelle partite della Lazio c’era un fallo a nostro favore a ridosso dell’area di rigore, molti andavano dall’arbitro per protestare: è rigore, il fallo era dentro area. Poi arrivava Sinisa e diceva a tutti: ragazzi, rigore o punizione da lì cambia poco, è sempre gol. Non è una battuta. Lo diceva davvero. E gli altri tacevano perché poi segnava e si vinceva. Indimenticabile quando segnò tre gol su punizione nella stessa partita con la Samp nel ’98".

    Un giocatore decisivo.
    "Ma non solo per i gol. Sai cosa significa avere un difensore centrale con quel piede? Ti cambia le partite in un attimo. E lui leggeva la tattica meglio di altri. Con un lancio di 60 metri, zac, contropiede e segnavi. E poi sempre tra i primi ad arrivare a campo d’allenamento. No, non ci posso credere che non ci sia più. Lui voleva che i giovani imparassero a calciare bene. Non teneva i segreti della sua classe per sé. Insegnava. Anche ai portieri. Li faceva diventare matti. Sapevano dove tirava, ma non ci arrivavano lo stesso".

    Logico che poi diventasse allenatore.
    «Aveva già tutto quando giocava: personalità, misura, idee, sapeva parlare agli altri calciatori. E una dote innata che metteva in ogni cosa: il coraggio. Sai, se non hai coraggio non fai debuttare Donnarumma bambino. E ancora prima, non dici a Boskov: ''Fai entrare il ragazzino''. Era Totti, aveva capito che era un campione. Vedeva prima di tutti".

    "Ma ci pensate? A 53 anni avrebbe potuto fare ancora tantissime cose. Il mondo del calcio poteva arricchirsi ancora per 15-20 anni. Che dolore grande perderlo. Fa male, molto male. Non pensavo. Credevo vincesse ancora. Perché lui voleva sempre vincere. In allenamento, in partita, nella vita. Sempre. Ma mai con l’inganno, mai passando sopra agli altri. Un campione vero. Lo so, queste sono frasi scontate, ma Sinisa era proprio così. Cosa posso dire di più? Un leader, un campione un grande uomo, un amico".

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