Morosini stroncato da cardiomiopatia: col defibrillatore poteva essere salvato
Sarebbe una cardiomiopatia aritmiogena, una malattia di probabile origine genetica che produce aritmie ventricolari, la cuasa della morte di Piermario Morosini, stroncato sul campo lo scorso 14 aprile durante la gara tra Pescara e Livorno a soli 25 anni.
Questo quanto emerge dalle oltre 250 pagine di relazione scritte dal Professor Cristian D'Ovidio incaricato dalla Procura di Pescara per condurre le perizie sul tragico evento e secondo le quali gli effetti della malformazione erano in fase iniziale.
La cardiomiopatia aritmiogena è considerata la causa più frequente di arresto cardiaco negli sportivi di alto livello. Anche il calciatore del Siviglia Antonio Puerta, morto nell'agosto del 2007 a soli 22 anni, fu stroncato da questa malformazione.
Secondo quanto si è potuto sapere nelle 250 pagine della relazione scritta dal professor Cristian D'Ovidio, gli effetti della malformazione erano in fase iniziale. E lo conferma anche il perito della famiglia Morosini, la dottoressa Cristina Basso: "Mi risulta che la malattia fosse agli inizi del suo percorso - spiega la dottoressa dell'Università di Padova - e che fosse molto difficile diagnosticarla. Il ragazzo poi non aveva dato nessun segnale di malattia, quindi la responsabilità della sua morte non credo sia di chi lo ha avuto in carico sanitario per anni. Ormai la scienza ha appurato che in un atleta questo tipo di malattia genetica aumenta i rischi di arresto cardiaco di cinque volte, perché‚ lo sforzo è uno stimolo in negativo. E non sappiamo neanche se nel caso di Morosini ci sia stata una mutazione genetica nel tempo o se sia stato portato sin dall'inizio di tale malattia".
Ma come la stessa Basso aveva detto a caldo ''ribadisco che l'uso del defibrillatore avrebbe dato qualche chance in più di salvezza al ragazzo''. Ed è proprio sull'uso del defibrillatore, che non c'è stato, che si interroga la Procura
pescarese, che ha aperto un fascicolo nel quale si ipotizza il reato di omicidio colposo. Il quesito posto dai pm a D'Ovidio era proprio se il ragazzo poteva essere salvato. Nelle concitate e caotiche fasi del soccorso lo strumento non fu utilizzato, perché, riferirono fonti mediche, ''c'era ancora attività cardiaca''. Il defibrillatore era accanto al corpo accasciato di Morosini, e che nessuno lo usò.