fabrizio
Moratti e le ombre cinesi sull'Inter
Vanno e vengono, sul bagnasciuga davanti al “Piero”, colonne di passanti in trasferimento salutare e salutista. Qualcuno, sicuramente tifoso del pallone, si ferma per un attimo e indica da lontano la presenza del “vip” sdraiato al sole. Solo un attimo, per non disturbare, e poi via sotto lo sguardo attento e molto serio del bagnino-bodyguard. Massimo Moratti non è un tipo schivo e non se la tira. Spesso lascia la sua tenda per andare, anche lui, a fare quattro passi lungomare. Firma anche autografi, a chi glieli chiede, e risponde sempre con un sorriso. L’altro giorno l’ho visto impallidire e poi osservare l’orizzonte pensieroso, prima di accendersi l’ennesima sigaretta e tornare da Milly presa dalle pagine di un libro. Poco prima, dalla vicina spiaggia che ospita una colonia di bimbi delle materne gestita dalle suore, era transitato proprio accanto all’ex presidente dell’Inter un gruppo di bambini e di bambine che procedevano in fila indiana cantando la famosa dì filastrocca che racconta di una principessa richiusa dentro un vaso di porcellana dove è costretta a ballare la danza americana. “Cinesin bam bam, la baiuna la baiana…”. Il coro dei bimbetti saliva alto nel cielo sembrava ispirare i gabbiani che scandivano il ritmo con il loro volo a planare. Un’ombra scendeva a scurire un poco il volto di Moratti. Un’ombra cinese.
Per chi non lo sapesse quella delle “Ombre cinesi” è la prima forma di teatro che la storia rammenta. Nasce, in Oriente, centoquarant’anni prima della nascita di Cristo al tempo cui l’imperatore della Cina era tale Wudi della dinastia Ming. Accadde che la concubina preferita dal monarca, la giovanissima e bellissima Li Furem, cadde nel fiume e annegò. Grande fu la disperazione dell’imperatore e talmente profonda profonda la depressione della quale fu vittima che i suoi sudditi temettero seriamente per la sua vita. Il consigliere di Wudi ebbe un’idea. Fece costruire una figura in legno che riproponeva le fattezze della fanciulla morta. La fece piazzare dietro una tenda trasparente della camera imperiale. Venne accesa una candela e messa dietro la statuetta. L’ombra veniva proiettata sul muro e l’imperatore si lasciò convincere che Li Furem non era morta ma, ogni notte, veniva a fargli visita e a tenergli compagnia prima che arrivasse il sonno. Un’illusione, naturalmente. Ma, che sia una leggenda oppure no, certe situazioni permettono almeno di sopravvivere.
Un poco come la storia degli “asini che volano”. Quella che serviva ai tifosi del Verona per prendere in giro i colleghi clivensi al tempo in cui la squadra del piccolo borgo navigava a vista nei campionati minori. “Il giorno in cui mai il Chievo dovesse venire in Serie A si vedranno gli asini volare nel cielo”, così dicevano gli ultras veronesi che non potevano certamente immaginare ciò che sarebbe accaduto di lì a pochi anni con l’arrivo di Campedelli. Ebbene gli asini hanno davvero cominciato a volare e non sembrano aver alcuna intenzione di smettere. Anzi. Domenica scorsa hanno ripreso alla grande la loro danza celeste proprio a spese della Nuova Inter Cinese.
Si dirà. Incidente di percorso rimediabile fin dal prossimo turno. Ma intanto il tonfo c’è stato e ha fatto chiasso. Per molte ragioni. Il ghigliottinamento di Mancini. L’ingaggio di un tecnico probabilmente bravo ma vergine di calcio italiano. Operazioni di mercato che lasciano perplessi tanto sembrano essere state “occasionali” come sparare alla luna. La voce (e l’esperienza) di Massimo Moratti completamente zittita dal socio di maggioranza Zhang la cui unica preoccupazione sembra essere quella di soddisfare le esigenze di immagine (quindi il marketing) di una squadra per la quale in Cina centoventi milioni di persone si dichiarano tifose (quindi acquirenti di qualsiasi cosa sappia di nerazzurro). Il silenzio tombale rispetto all’unica operazione che davvero potrebbe significare la volontà di riscatto internazionale e di progettazione mirata: la necessità, imprescindibile, di uno Stadio Inter. L’ambiguità generale nella gestione del “caso” Icardi per la cui risoluzione sembra contare soltanto la sua bella moglie-manager. Il povero “capitan” Zanetti costretto a dire ufficialmente cose che, conoscendolo e apprezzandolo, non appartengono al suo pensiero. La certezza, subito disillusa, dei nuovi padroni sul fatto che l’intera Chinatown milanese (quella che popola l’immenso quartiere tra Via Camonica e via Paolo Sarpi) corresse a fare l’abbonamento e spendesse quattrini per i gadget firmati dalla Suning. Altre cosette ancora, di minor rilievo ma egualmente significative.
Eppoi, quella filastrocca che continua a risuonare nelle orecchie di Massimo Moratti. Un presidente “umano” del quale, interisti e non, è impossibile non sentire la mancanza. “Cinesin, bam bam la baiuna e la baiana. Troppo strette le scarpette e troppo larga la gonnella perché la principessa prigioniera possa ballare la danza americana”. Si fa largo, tra troppe promesse e mille interrogativi, il sospetto che possano essere soltanto ombre cinesi. Buone per fare in modo che il re possa illudersi che la sua bella Li Furem è ancora viva.