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Morata, storia di un'implosione. È davvero un grande attaccante?
ESPLOSIONE E IMPLOSIONE - La storia di Morata è una storia di talento e incostanza, di lampi di classe alternati a momenti di buio pesto. All'affermazione in una piazza importante come quella di Madrid non ha fatto seguito la carriera che tutti - addetti ai lavori e non - si attendevano da lui. Lontano dal nido l'attaccante madrileno, di nascita e di fede, è imploso collassando su se stesso, divorato forse dalle aspettative riversate su di lui da tifo e stampa, incapace di gestire le pressioni e i periodi no. Nelle esperienze con le maglie di Juventus e Chelsea, Morata non è mai stato in grado di conquistarsi un posto da titolare indiscusso, non dimostrando quel carattere e quell'attitudine che solitamente contraddistinguono i grandi campioni. Il gol dell'1 a 3 nella finale di Champions League del 2015 persa dalla Juventus contro il Barcellona resta fin qui l'highlight migliore di una carriera fatta di tanti trofei e scarse soddisfazioni personali.
ULTIMATUM - Lo stesso Morata non ha fatto mistero delle proprie lacune interiori. "Ero totalmente fuori da tutto - ha spiegato poche settimane fa alla ABC - avevo problemi con me stesso e con gli altri: arbitri, avversari, tifosi… Non ero per nulla equilibrato. Non avevo voglia di andare ad allenarmi nè di giocare". Ma il bilancio di questi due anni dice chiaro e tondo che in Inghilterra l'amore con l'ambiente Chelsea non è mai scoppiato, anzi. Subissato dalle critiche dei fans e degli esperti ("non penso che esploderà mai a Londra e lo pensa anche il club, non ha senso aspettarlo ancora", il moderato pensiero dell'ex Liverpool, Jamie Carragher, ora commentatore per Sky Sport), le gerarchie lo vedono arretrare partita dopo partita. A 26 anni è giunta l'ora dell'aut aut: imporsi e svoltare (a Londra o altrove) o continuare a vivacchiare, oscurato dalla stazza dei veri fuoriclasse. Il niño è cresciuto, ora impari a camminare da solo.