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Milanmania: i 'non leader' Montolivo e Abate. Fassone, non servono statuine
titolare. Per il terzino non è una novità, i predecessori in panchina lo
avevano anticipato e Seedorf in particolare si era impuntato su De
Sciglio ("Può giocare solo a destra"). Per l'ex viola invece, tenuto a
lungo fermo da un infortunio nella passata stagione, è la prima volta
dopo Firenze e purtroppo appare come l'ovvia conseguenza di una
involuzione palese. I limiti tecnici dei due giocatori finiscono spesso
con l'oscurarne le doti, basta una condizione approssimativa per appannarne il rendimento, ma la questione sollevata dal nuovo allenatore
è soprattutto legata alla reattività, alla determinazione, alla ferocia:
in una sola parola, alla personalità. Montolivo e Abate, capitano e
vicecapitano attuali del Milan, non sono leader. Non lo sono mai stati.
Finiscono col subire la squadra e lo spogliatoio, non a trascinare i
compagni nonostante qualche scatto di rabbia. Un aspetto purtroppo
incurabile: lo spessore è questo, bravi bravissimi ragazzi, ma non
capitani appunto. Insistere è una perdita di tempo. O si svolta dando fiducia ai giovani, cercando alternative, o bisogna proseguire con loro
dei quali caratteristiche e personalità si conoscevano prima di
(rispettivamente) rinnovarne il contratto o rifiutarne le offerte.
Strapazzarli non produrrà effetto alcuno.
A proposito di senatori, imperversano le polemiche relative a quelli
dell'epoca d'oro. Dopo i dubbi manifestati da Maldini, Demetrio
Albertini ha pubblicato domenica su Instagram e Twitter "Io non sono
interista", con chiaro riferimento alle scelte dei nuovi quadri che
Fassone va allestendo in società. Troppo acuto riflessivo l'ex metronomo per compromettere un possibile futuro nel club che ama, solo a causa di
una goliardata: è evidente come sia a conoscenza con certezza che i
piani di Fassone non lo prevedessero in nessun caso, è evidente che
sapesse quali fossero e quali siano le intenzioni del nuovo timoniere.
Così come lo stesso Costacurta, il quale è stato ancor più diretto: "Non
provino nemmeno a chiamarmi", sapendo già quale tipo di ruolo o incarico avrebbero semmai potuto affidargli. Quello della statuina, visto che nelle stanze che contano i giochi sono già più o meno fatti.
La discussione non può ovviamente vertere sulle capacità,
sull'esperienza, sulle potenzialità di Albertini, di Costacurta o di
Maldini (o dello stesso Ambrosini) in qualità di dirigenti. Non è questo
il punto. Il problema che Fassone ha sottovalutato è il profondo,
rabbioso distacco di una tifoseria disgustata dagli ultimi anni di
gestione societaria all'insegna di slogan bolsi, proclami deliranti,
bugie di mercato e di strategie, operazioni più che discutibili.
Culminate con il passaggio di mano prima a un guitto cinese, poi enfaticamente a un altro gruppo orientale, infine improvvisamente a un
altro ancora sbucato dal nulla e del quale ancora poco o nulla si sa con
certezza. C'è bisogno di un garantismo, di una fiducia che Albertini,
Costacurta, Maldini o Ambrosini avrebbero saputo infondere grazie alla
loro semplice presenza: non hanno bisogno né di soldi, né di lavoro, né
di potere, sarebbero tornati per amore dei colori ed è per amore dei
colori che avrebbero alzato la mano nel momento in cui avessero
verificato che qualcosa non funzionava. Sono uomini e professionisti che non si prestano a giochini, sotterfugi, bugie, manipolazioni di sorta.
Avrebbero potuto smascherare o condividere con entusiasmo le reali
intenzioni dei cinesi, avrebbero potuto guidarli dall'alto della loro
esperienza crescendo allo stesso tempo con loro, avrebbero avuto
importanza anche per la vicinanza alla squadra e a Montella. L'Inter o
l'interismo non c'entrano niente, di per sè. E' questo che Fassone non
ha capito: serviva rassicurare tutti semplicemente mettendosi al fianco,
nel lavoro quotidiano, qualcuno del quale la gente possa tornare a fidarsi, lui e i cinesi compresi. Sarebbe stata un'ottima partenza. Ora
a contare è soprattutto l'arrivo per quanto lontano possa apparire.