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    Milan vittima dell'egoismo di Ibrahimovic. Ma anche Maldini è colpevole

    Milan vittima dell'egoismo di Ibrahimovic. Ma anche Maldini è colpevole

    • Alberto Cerruti
      Alberto Cerruti
    Nessuno poteva prevedere che il Milan scivolasse dal primo posto del 22 maggio scorso, festeggiato con il diciannovesimo scudetto a Reggio Emilia dopo l’ultima vittoria contro il Sassuolo, al quarto di oggi ai confini della zona per l’Europa League. Tra le tante sorprese negative, testimoniate dai 9 punti in meno rispetto allo stesso punto della stagione scorsa, il primo posto spetta sicuramente a Rafael Leao, passato dal premio di migliore giocatore del campionato al ruolo di irriconoscibile. Naturalmente c’è poi il grande bluff della campagna acquisti, che invece di rinforzare l’organico a disposizione di Stefano Pioli lo ha indebolito.

    Un discorso a parte, invece, merita Zlatan Ibrahimovic, che in fondo è il simbolo della crisi del Milan. Lui che tanto aveva fatto per svezzare i giovani rossoneri, grazie al suo carisma, oggi non è più un trascinatore della squadra ma al contrario è suo malgrado trascinato dagli eventi. E’ vero che ha subito un difficilissimo intervento per ricostruire il legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro il 25 maggio scorso, ma è anche vero che gli è stato rinnovato il contratto, sia pure per “appena” un milione più bonus, perché era previsto il suo rientro in gennaio. Quella data, secondo le speranze di tutti, doveva consentirgli di aiutare il Milan in Champions League dopo la fase a gironi.

    Mentre i suoi compagni, anche senza il suo aiuto, si sono guadagnati l’acceso agli ottavi, lo svedese non è però stato in grado di rientrare in tempo per partecipare alla gara d’andata del 14 febbraio a San Siro contro il Tottenham e proprio perché le sue condizioni non lo consentivano il suo nome non è stato nemmeno insito nella lista Champions. Così, anche se i rossoneri riuscissero nell’impresa di eliminare il Napoli nei quarti, Ibrahimovic non potrebbe più giocare in Europa. Una beffa, o peggio un fallimento.

    Nella migliore delle ipotesi potrà aiutare il Milan a lottare per difendere almeno il quarto posto attuale, ammesso che non vengano tolti i quindici punti di penalizzazione alla Juventus, ma siamo arrivati ormai in primavera e si può già dire che prima della prossima gara, in programma il 2 aprile proprio a Napoli, Ibrahimovic non ha ancora giocato per 90’. Anzi, quando è andato in campo dall’inizio per la prima volta, soltanto sabato scorso a Udine per l’assenza di Giroud, non è bastata la sua presenza per evitare una delle peggiori sconfitte della stagione. Il suo gol su rigore, tra l’altro ripetuto dopo il primo errore, gli è bastato soltanto per farlo entrare nella storia del nostro campionato, perché adesso è lui il giocatore più anziano ad avere segnato una rete, a 41 anni e 166 giorni. Un premio al suo ego, molto simile a quello di Cristiano Ronaldo che sta chiudendo la sua carriera accontentandosi dei propri record personali senza aiutare la squadra, come si è visto nella sua ultima esperienza europea al Manchester United. Rispetto a lui, Ibrahimovic ha tre anni di più che a questa età pesano il doppio, specie se zavorrati da infortuni. E con il “senno di poi”, in questo caso ai confini con il “senno di prima”, ci chiediamo perché il Milan gli abbia rinnovato il contratto l’estate scorsa, rinunciando tra l’altro ad acquistare un altro attaccante più giovane. La verità è che la proprietà e Maldini non hanno avuto lo stesso coraggio di De Laurentiis che non ha rinnovato il contratto a Insigne, bandiera del Napoli, condizionati dall’egoismo di Ibrahimovic che non a caso ha ammesso l’altro ieri che sarebbe stato troppo facile smettere dopo aver vinto lo scudetto. E allora ci chiediamo quando penserà che sia il momento di smettere, visto che nel frattempo è stato di nuovo convocato dal c.t. della Svezia. Perché il tempo passa anche per lui e soprattutto per il Milan, che non può vivere di rendita su uno scudetto sempre più lontano. Come il miglior Ibrahimovic.

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