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Milan-Spezia, le lacrime dell'arbitro Serra e la normalità dell'errore umano. Non servono altre scuse, o altri var
Fra considerare l’arbitro nell’abisso alla Dostoevskij o sbeffeggiarlo, le parole più giuste sembrano quelle di Ibra e Casarin. “Hai sbagliato come sbaglio io” ha detto il campione rossonero; “l’esigenza di essere veloce, anzi immediato” lo ha fatto sbagliare, ha sintetizzato Casarin in un bel dialogo immaginario, sul Corriere della Sera. E potrebbe chiudersi qui, con la punizione di rito, se non ci fosse stato un altro, presunto, strappo alla regola.
Ovvero la notizia circa le scuse che l’AIA avrebbe recapitato al Milan per l’arbitraggio, notizia prontamente smentita. Meno male, altrimenti ogni settimana avremmo dovuto assistere a pubblici pentimenti e genuflessioni da parte dell’ associazione che rappresenta gli arbitri.
Resta, comunque, uno stupore amaro, oltre alla doverosa compassione condita con un po’ di simpatia per il crollo emotivo di un arbitro alla fine d’una non troppo nota carriera. Lo stupore deriva proprio dalle scuse eclatanti quanto impotenti. Dalle lacrime, che gettano un fascio di fragilità sulla macchina calcio e sul perno operativo che irroga le sanzioni durante la partita, ossia sul magistrato in campo.
Assediati da tutte le parti, non sufficientemente vaccinati dal Var, costretti a decisioni sempre più fulminee, bocciati o promossi in continuazione, gli arbitri hanno una sola strada per potere continuare: distaccarsi il più possibile, soprattutto dai propri errori, pena l’impossibilità d’andare avanti e essere sostituiti da quell’algoritmo tecnologico giudicante, invocato da alcuni sostenitori della giustizia assoluta e imperfetta ovvero non umana.