Milan, smarcati dall’Inter e fatti lo stadio. E fallo più grande, sennò si rischia la fine della Juve
Fa riflettere il silenzio della Juventus e probabilmente è indicativo di come stia andando la campagna abbonamenti, segno che il caro prezzi (650 euro le curve, circa il doppio rispetto a Milan e Inter) sta frenando le vendite più di quanto non siano acceleratori le fin qui applaudite operazioni Pogba, Di Maria e Bremer. Già nella scorsa stagione, per la prima volta dall’inaugurazione dello Stadium, la Juventus ha giocato più di una volta senza il tradizionale sold out che l’accompagnava nelle partite in casa dal 2011 (covid a parte).
La politica bianconera dei prezzi alti non è di oggi (l’aumento è infatti percentualmente allineato a quello di ogni stagione: 6/7%) ed è sempre stata ovviamente applicata anche ai singoli biglietti per i posti non venduti in abbonamento. È quasi una necessità, quando si ha una squadra di vertice (e quindi partite sempre “importanti”), un mare di tifosi (con domanda sempre alta) e pochi posti disponibili (lo Stadium è stato costruito con 40 mila posti, il delle Alpi e il vecchio Comunale ne prevedevano 70 mila).
Uno stadio più caro e per sempre meno persone, in un calcio che da tempo è sostanzialmente televisivo: chi vuole l’impareggiabile emozione del campo, deve essere disposto a pagare, tanto e sempre. Anche Milan e Inter hanno pensato che l’equazione fosse giusta e per la “Cattedrale” di Popolus hanno previsto 65 mila spettatori in luogo degli 80 mila dell’attuale San Siro. Lo stadio sempre pieno consente di alzare i prezzi all’infinito, con politiche commerciali che cavalcano e sfruttano la passione popolare. Finché dura. Poi, anche riempire uno stadio da 40 mila posti diventa arduo.
All’estero la pensano diversamente, se è vero che tutti i nuovi stadi sono più grandi di quelli che hanno sostituito, dall’Arena del Bayern a Wembley, fino al Bernabeu (in ritardo per le conseguenze della guerra in Ucraina). E sono sempre pieni. Dovrebbero tenerne conto le proprietà di Milan e Inter, in un progetto arenatosi anche per colpe loro, non solo del Comune.
Lo stadio è casa e reddito, lo stadio è appartenenza e anche solo per questo è un non senso la proprietà divisa a metà di uno stadio nuovo. Ma fare lo stadio costa, e tanto. Servono 5 anni di investimenti prima che cominci a fruttare. Oggi l’Inter di Zhang, già profondamente indebitata, non può avventurarsi nell’impresa e lo sa bene il sindaco Sala, che da tempo chiede garanzie sulla solidità della proprietà nerazzurra, a quanto ci risulta senza mai averle avute.
Poi ci sono i comitati, i referendum, le lungaggini burocratiche, tutto quello che volete e che è facile per i club indicare come responsabili dell’impasse. Ma la prima cosa che manca sono i dané, come si dice a Milano. San Siro è patrimonio pubblico, non solo storia. San Siro e un pezzo di città non possono essere regalati ai privati, stranieri poi. Se non vuole perdere altro tempo, Elliott-RedBird si smarchi dall’Inter di Suning, vada a Sesto che l’aspetta a braccia aperte e metta le basi per costruire davvero il benedetto nuovo stadio. Da 80 mila posti, ovviamente. Oppure smetta di parlarne e si goda San Siro.
p.s. tre ore dopo l'uscita dell'articolo, la Juventus ha reso ufficiale il dato definitivo sulla sua campagna abbonamenti: 20.200 tessere vendute (rispetto alle abituali 29 mila dell'epoca pre-covid). Non sono pochi, ma confermano il trend di difficoltà a piazzare il "prodotto", nonostante la fin qui migliore campagna acquisti fra le squadre di vertice. A maggior ragione, s'impongono riflessioni. E non solo per gli altri.