Milan, perché Ibrahimovic è un affare anche se rotto e a 41 anni. I dubbi semmai sono su Origi
Garantendosi Ibra per almeno un’altra stagione, il Milan ha fatto un affare, perché Ibra vale molto più di quanto costerà. Ibra è calcio, è leader, ma anche brand, Ibra è marketing. Al costo di un giocatore qualunque, il Milan si è garantito un giocatore come nessun altro in rosa. Diverso sarebbe stato se il mercato post scudetto avesse garantito un crack a Stefano Pioli. E invece a quanto pare si continua con l’opera di reclutamento di giovani speranze, sperando di azzeccarle.
Poco conta se Ibra comincerà a gennaio, se giocherà poco e correrà meno. Ibra c’è anche quando non si vede, Ibra è vanitoso, forse egocentrico, ma sicuramente è uomo squadra, molto più lui di CR7, per capirsi, che continua a inseguire il passato, cambiando club appena può, nel tentativo di inseguire se stesso e senza afferrare che mai riuscirà a prendersi.
Nell’ultima stagione, Ibrahimovic (1.167 minuti e 8 gol) ha giocato e segnato più di Origi (598 minuti e 6 gol), l’ultima scommessa rossonera, arrivato peraltro infortunato, com’è stato peraltro per gran parte del 2022. Nell’ultimo scudetto, Ibra è stato molto più prezioso di quanto già non dicano i numeri. Senza Ibra, Pioli – uno che mai aveva vinto in carriera – non ce l’avrebbe fatta a dare alla squadra – in cui quasi nessuno aveva vinto qualcosa – la forza per credersi grande, a trasmettere quello spirito rivelatosi fondamentale nella volata scudetto, soprattutto dopo la batosta nella semifinale di Coppa Italia. Nel rinnovo, non c’è gratitudine di Maldini o di Elliott, ma piuttosto la consapevolezza che questa squadra ha ancora bisogno del suo capitano morale, anche quando non giocherà.
Maldini aveva più di un dubbio sull’efficacia fisica di Ibra anche quando fu Boban a insistere per portarlo a Milano, contando su un’antica amicizia, favorita dalle comuni origini balcaniche. L’ha raccontato Ibrahimovic stesso, non spiegando come tra i compiti che gli furono assegnati, oltre che giocare e fare gol, ci fosse quello di fare maturare una squadra giovane e senza esperienza.
Pare che dopo 6 mesi, alla ripresa post lockdown, Ibra si sia rivolto ai suoi dirigenti dicendo che lo seguivano tutti, meno Leao. Usò parole molto colorite per descrivere l’atteggiamento del portoghese. Fu pregato di insistere, anche a costo di usare le maniere forti. E così fu, chiedere a Leao per la conferma. Se oggi il portoghese è il miglior giocatore della Serie A, lo deve a Ibra molto più che a Pioli, che anzi spesso l’ha utilizzato troppo lontano dalla porta, obbligandolo a rincorse a ritroso che male si associano col suo talento. Il 4-3-3 sarebbe il modulo perfetto per esaltarne le qualità, ma questo è un altro discorso e ci sarà tempo per parlarne.
@GianniVisnadi