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    Milan, lo scudetto di Allegri, Galliani e dei tifosi che hanno convinto Berlusconi a spendere sul mercato

    Milan, lo scudetto di Allegri, Galliani e dei tifosi che hanno convinto Berlusconi a spendere sul mercato

    di Xavier Jacobelli,
    direttore quotidiano.net

    Dopo sette anni di attesa il Milan è di nuovo campione d'Italia. Lo scudetto numero 18, conquistato con due giornate d'anticipo, è meritato, giusto, grande. Il verdetto del campo non è mai bugiardo: una squadra che è in testa alla classifica da ventisei giornate, che vanta la miglior difesa (23 gol incassati in 35 partite), che nel girone di ritorno ha subito soltanto 6 gol in 17 incontri, ha legittimato un'impresa degna degli applausi di tutti. Questo è, prima di tutto, il titolo di Massimiliano Allegri, vittorioso al primo tentativo in rossonero come Sacchi, Capello e Zaccheroni.

    Il tecnico livornese ha cominciato a vincerlo quando ha dimostrato a Berlusconi che il Milan poteva fare a meno di Ronaldinho: al punto che il brasiliano è stato ceduto in gennaio ed ora è il convitato di pietra alla festa del Diavolo. Berlusconi, lo stesso che il 20 luglio 2010 a Milanello, aveva detto: "Ronaldinho è il più forte giocatore di sempre, è un titolare inamovibile e finirà la sua carriera nel Milan".

    Ma il successore di Leonardo ha superato l'esame più importante della sua carriera con il mix di esperienza e di gioventù, di spregiudicatezza e di pragmatismo che di volta in volta ha messo in campo. Durante periodi più o meno lunghi, fra gli altri Allegri ha dovuto rinunciare a Nesta e a Pato, Ambrosini e Pirlo, Zambrotta e Ibrahimovic, eppure ha tenuto saldo il timone e non ha mai dato l'impressione di avere perso il controllo della squadra che ha sempre tenuto saldamente in pugno.

    Un elogio importante deve essere tessuto per Adriano Galliani, autentico deus ex machina di questo scudetto con il suo "mercato creativo", come egli stesso l'ha definito: dai botti Ibrahimovic e Robinho, ai colpi di gennaio Cassano e Van Bommel, capitano dell'Olanda vicecampione del mondo, preso a parametro zero e per sei mesi, diventato subito insostituibile davanti alla difesa. 

    Due anni fa, Galliani si era ritrovato alla gogna dopo avere ceduto Kakà al Real Madrid. Il tempo ha dato ragione ad Adriano e non soltanto per i 68 milioni di euro incassati: soprattuttol, per la crisi d'identità in cui è piombato il brasiliano che a Madrid è diventato irriconoscibile. Galliani ha masticato amaro, ha incassato frizzi e lazzi, ha lavorato sodo e si è preso la rivincita migliore.

    Non ci sarebbe riuscito se non ci fosse stata la spinta dei suoi tifosi che, un anno fa di questi tempi, si sentivano ripetere sino alla noia i punti cardine della strategia dell'austerità, ascoltavano le concioni presidenziali sull'impossibilità di fare grandi acquisti e bla bla bla. Poi, le proteste della Curva Sud a San Siro e dei Milanisti Evoluti su Internet, dell'una e degli altri in piazza, hanno avuto successo. In agosto, Berlusconi ha virato di centottanta gradi anche per ricucire lo strappo con il popolo rossonero, furioso e non dimentico delle panzane propalate al tempo della cessione di Kakà. Il resto è la storia di uno scudetto che porta il n.18, ma è anche il trofeo n.27 dell'era di Silvio. Venticinque anni vissuti alla grande. E, adesso che il dominio interista è stato infranto, è difficile pensare che il Milan si accontenti. I nuovi campioni d'Italia lo sanno. Le rivali pure.

     

     


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