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  • Milan, il 'Nopetegui' è sia social che reale: ma fino a che punto è giusto ascoltare i tifosi?

    Milan, il 'Nopetegui' è sia social che reale: ma fino a che punto è giusto ascoltare i tifosi?

    • Massimo Callegari
      Massimo Callegari
    Prima del #Nopetegui c’erano una volta la rivolta popolare al grido di “non si vende Kakà” (17 gennaio 2009, Milan-Fiorentina) e quella laziale con lanci di pomodori per scongiurare la cessione di Beppe Signori al Parma (11 giugno 1995). Il ponte tra le due ere della comunicazione, reale e virtuale, è stato l’affaire Guarin-Vucinic tra Inter e Juventus: tutto fatto e saltato in poche ore a gennaio 2014 sull’onda delle proteste un po’ reali e un po’ virtuali dei tifosi dell’Inter, tra striscioni e primi borbottii social. Farsi influenzare dai tifosi è sempre un segno di debolezza e adularli può essere utile nel breve periodo ma non a lungo termine.

    Lo dimostra anche il caso della Roma, per cui la coperta di Linus di Daniele De Rossi si sta accorciando ogni settimana. Perché il tempo sta ribadendo limiti di fisico/personalità (Lukaku) e tecnici (Karsdorp) che nemmeno l’entusiasmo del nuovo tecnico, ingaggiato per contenere la sollevazione popolare del dopo-Mou, ha potuto cancellare. Nell’epoca in cui il virtuale supera il reale, alle esalazioni tossiche dei social viene dato un peso superiore a quello che realmente hanno. Domenica prossima, in Milan-Genoa, la portata della protesta reale sarà più chiara. Intanto si è già passati dal rumore dei nemici al rumore dei (falsi) amici. Come ha ricordato pochi giorni fa Stefano Pioli “non leggo e non seguo niente, anche se alcuni “amici” qualcosa mi fanno sempre arrivare…”. Serve quindi grande personalità per mantenere la propria posizione e le proprie certezze.

    Secondo la ricostruzione di Matteo Moretto, collega italiano che si occupa di mercato sui media spagnoli, nell’ultima ondivaga settimana del Milan la trattativa per l’ingaggio di Julen Lopetegui è stata invece frenata proprio dalla rivolta (soprattutto social) di una parte dei tifosi, insospettiti dalla carriera del tecnico basco: molto positiva al Wolverhampton e a Siviglia, club di livello ma non Top Class, meno convincente quando le pressioni si sono alzate. Il suo Porto 14/15 giocava molto bene e spaventò anche il Bayern nei quarti di finale di Champions, con il 3-1 dell’andata seguìto dall’1-6 dell’Allianz Arena. Zero tituli e così la seconda stagione iniziò male e finì presto: fuori dalla Champions ed esonerato. Come al Real Madrid, subito delegittimato dal ko in Supercoppa Europea contro l’Atletico Madrid e cacciato a fine ottobre dopo altre cinque sconfitte in sette gare. Con l’aggravante di non essere entrato in sintonia con Vinicius, che il club aveva designato come erede di CR7.

    Insomma, a una parte di tifosi più che “Lopetegui” non piace(va) “l’idea che Lopetegui porta(va) con sé”: ovvero quella di un Milan lontano dalla sua tradizione di società vincente ed economicamente potente. Ma questa è la realtà: nessun club in Italia ha più la forza economica per attrarre né campioni né allenatori super top. Nemmeno il Milan, che proprio grazie a questa dirigenza è tornato sostenibile ed è ormai indirizzato sul doppio binario compravendita/valorizzazione di talenti, non sempre facili da scovare come pretenderebbero i tifosi. Che, superando anche lo spirito di bandiera, vedono nell’ex Juve e Inter Antonio Conte l’unica vera, grande garanzia di successo.

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