Milan, gli strani affari tra Yonghong Li e il controverso gruppo Hna
Una suggestione? Un’ipotesi? Una coincidenza? Diciamo una pista. Percorriamola fino in fondo per capire dove porti. E per pesare quanta consistenza abbia un’indiscrezione di fonte cinese che dice più o meno così: gli affari del misterioso Mister Li, padrone del Milan, si sono incrociati, «nell’operazione sul grattacielo New China Building», con quelli di un grande azionista del gruppo Pirelli e quelli della controversa (e sull’orlo del collasso) conglomerata cinese Hna, maggior azionista di Deutsche Bank e degli hotel Hilton. Due nomi mai emersi finora dalla nebbiosa carriera imprenditoriale del quarantottenne cinese che un anno fa si è caricato sulle spalle super-indebitate la storia e il futuro del Milan, esibendo un tesoro personale fatto di miniere, immobili e società quotate.
L’incrocio
Come sappiamo, però, trattandosi di Yonghong Li certe verità e certi tesori vanno presi con le molle, per quanto asseverati da legali e consulenti super qualificati e altrettanto pagati. Lo dimostra la storia della sua holding Jie Ande, già sull’orlo del crac (poi fallita davvero poche settimane fa) quando il finanziere cinese nell’aprile 2017 chiudeva l’acquisto da 740 milioni del Milan.
E così è meglio mettere subito a verbale che anche sul grattacielo non c’è la garanzia che si tratti di una sua proprietà. Anzi. Eppure anche questo grande immobile (o meglio: una quota del 35%) che ospita uffici, negozi e un centro commerciale, è ufficialmente annoverato tra i gioielli della corona del presidente milanista. Proprio qui è avvenuto l’incrocio d’affari con i due soggetti indicati prima: il colosso dai piedi d’argilla Hna e China Cinda Asset Management, società d’investimenti internazionali controllata dal ministero delle finanze di Pechino e socia al 38% di Prometeon Tyre, l’azienda del gruppo Pirelli (il cui maggior azionista è la cinese ChemChina) che produce pneumatici per camion, bus e trattori. Cerchiamo di capire meglio.
I due azionisti
Il New China Building, cioè il grattacielo di 48 piani a Canton, metropoli da quasi 15 milioni di abitanti nel sud della Cina, è di proprietà di due azionisti. Il 35% (stimato tra 150 e 200 milioni di euro) è di una società del presidente del Milan, secondo quanto lui stesso ha ufficialmente dichiarato. In base a una ricostruzione documentale, tuttavia, il vero proprietario risulta Xu Renshuo. Ma non si va troppo lontano: Xu, 26 anni, «laureato in economia a Leicester nel 2015» — recita il suo curriculum — è il «ragazzo» del consiglio di amministrazione del Milan. Fa parte cioè del contingente cinese nominato in cda al momento dell’acquisto del club. Giovanissimo, aveva preso in mano da direttore esecutivo, poco più che ventenne e studente, la holding immobiliare Guangzhou Ren Baijie, quella, appunto, cui fa capo il 35% del palazzone di Canton.
La matrioska
E il restante 65% del New China Building? È sotto l’ombrello di un’indecifrabile matrioska di finanziarie cinesi e di Hong Kong. Ma nel sistema delle garanzie, dei finanziamenti e dei pegni sulle azioni, compaiono contratti con la China Cinda e, con un ruolo assai più centrale, con la società Bohai International Trust. Cioè uno dei tanti bracci operativi del gruppo Hna, gigantesca piovra con assetto azionario oscuro e partecipazioni ovunque, anche di grande rilievo come Deutsche Bank (8,8%), la catena alberghiera Hilton (maggiore azionista) e numerose compagnie aeree. È una delle grandi conglomerate finite l’anno scorso nel mirino del governo cinese per presunte irregolarità nelle operazioni all’estero. E oggi è in grave crisi di liquidità.
Proprio quello che, in piccolo, è successo a mister Li, presentatosi bello tonico alla firma del contratto nell’aprile 2017 per poi rallentare progressivamente in un crescente affanno, mentre a due passi da Hong Kong, dove vive, i giudici della città di Shenzhen decretavano il fallimento della sua cassaforte.
Il polmone finanziario
Potrebbe dunque essere stato il polmone oggi esausto di Hna ad aver finanziato parte della scalata al Milan? O è soltanto un’intestazione fiduciaria (il contratto avrebbe scadenza 10 luglio 2018)? Yonghong Li ha sempre evitato di entrare nel merito dei suoi affari, quasi fosse un argomento scabroso, limitandosi a rassicurazioni generiche, auguri di Natale e ad esprimere ai tifosi l’emozione per «il nostro primo anno insieme».
Il buco nero
Dunque da qui a dire che il presidente del Milan sia un alleato o una pedina, come prestanome, di Hna ce ne passa. E, a maggior ragione, che abbia relazioni con il gruppo pubblico China Cinda (la Pirelli, tra l’altro, è da anni partner e sponsor dell’Inter), considerato che Yonghong non gode di grande popolarità e reputazione in Cina. Ma indubbiamente le strade si sono incrociate sul business del grattacielo. La questione di fondo è sempre la stessa e condiziona la gestione del Milan sia sul fronte del rifinanziamento (diffidenza del mercato), sia nella trattativa con l’Uefa sul fair play finanziario: l’origine dei soldi e la reale consistenza ed esistenza delle proprietà del cinese.
Quando si «gratta» e si va a fondo, si sgretolano i mattoni del patrimonio o ci si imbatte in prestanome che potrebbero rappresentare chiunque. L’unica certezza è il fondo Elliott: ha prestato 300 milioni e garantisce eventuali inadempienze di mister Li. Ma non può durare a lungo.